Il paragone tra l’Inter odierna di Antonio Conte e quella dello Scudetto dei Record di Trapattoni?
Stuzzicato con questa domanda, Beppe Bergomi, una delle colonne di quella squadra storica, risponde così alla Gazzetta dello Sport:
“Si fa sempre fatica a paragonare squadre di epoche diverse. Nella mia c’erano tanti nazionali italiani e per costruire una mentalità vincente furono aggiunti campioni come Brehme e Matthäus. Ecco, ci fosse uno come Lothar non avrei dubbi: l’Inter arriverebbe prima”.
Quale era il segreto di quel gruppo mitico?
“La compattezza, un’unione eccezionale che ci portò a vincere contro tante rivali fortissime, dal Napoli al Milan. Anche allora come oggi l’Inter non era partita benissimo. La critica stava massacrando Trap e un giorno una delegazione di giocatori italiani — io, Zenga, Baresi, Matteoli e Ferri — andammo a bussare alla sua porta. Gli dicemmo solo ‘Siamo con lei’ e lui si commosse. Gli scese una lacrimuccia: fu un momento bellissimo e quel gruppo si unì ancora di più”.
Trapattoni, in fondo, è un papà anche per Conte: vede analogie tra i tecnici ex Juve?
“Sono molto diversi, anche perché la professione di allenatore è cambiata davvero tanto. Trap sapeva motivare parecchio, ma aveva anche la capacità di allentare la presa. Viveva la sconfitta in maniera diversa rispetto a Conte, che è un grandissimo allenatore ma in quei momenti, per carattere, va un po’ in difficoltà”.
Ma secondo lei ha definitivamente raddrizzato la rotta dopo un inizio difficile, proprio come fece Trap allora?
“Conte è il valore aggiunto di quest’Inter: non ha la rosa più forte della A ma, con tutte le difficoltà del caso, sta costruendo una squadra solida che ha tutto per arrivare in fondo al campionato. Lo capisco quando prova a combattere contro la negatività che a volte si respira nell’ambiente: a modo suo, vuole solo che tutti remino dalla stessa parte. Noi eravamo più pronti e coperti in tutte le caselle: fu più facile risalire la corrente”.
Oggi come allora fuori dall’Europa a dicembre: un vantaggio per il campionato?
“Se ripenso all’eliminazione col Bayern mi girano ancora… Quella è una ferita aperta per come perdemmo. Ai tempi non fu un vantaggio uscire dalle Coppe perché si giocavano molte meno partite in Europa. Stavolta concentrarsi su un solo obiettivo può aiutare”.
Lei si rivede più in un difensore italiano di talento subito titolare come Bastoni o in chi indossa la sua fascia come Handanovic?
“Ho recentemente detto a Ferri che oggi io e lui saremmo dei nani… I difensori sono ormai molto più alti e Bastoni ne è un esempio: interpreta il ruolo in maniera moderna, ma noi eravamo molto più marcatori. Di capitan Handanovic mi sono piaciute le ultime dichiarazioni: non ha cercato scuse, come fa un vero leader”.
Cosa possono imparare gli aspiranti campioni di oggi da voi, campioni anni ‘80?
“Il senso di appartenenza, l’amore infinito per la maglia. Se capiranno i valori dell’Inter, il suo Dna che è diverso da tutti gli altri — non migliore o peggiore, ma diverso –, possono spostare le montagne e giocarsela contro tutto e tutti. E a quel punto lo scudetto sarà una conseguenza”.
(Fonte: La Gazzetta dello Sport)
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