“Sono al Niguarda, chiuso nella mia camera, con il cielo in una stanza. La bufera è passata, i giorni allucinanti della diagnosi e delle operazioni di amputazione sono alle spalle».
Mauro Bellugi, iconico difensore dell’Inter degli anni Settanta, racconta il suo dramma al Corriere della Sera. “In questo anno maledetto se ne sono già andati Corso, Maradona, Paolo Rossi. Non volevo essere io l’ultimo famoso della serie”.
La malattia
“Io soffro da sempre di una forma di anemia mediterranea, come mia mamma e pure mia figlia. Di per sé non mi aveva causato grossi disturbi in precedenza ma poi con il coronavirus son diventati compagni di merende. Si sono detti “spacchiamo il mondo” e
hanno spaccato me».
Il giorno da segnare sul calendario è il 4 novembre
“Soffriva di male alle gambe, dolore non infrequente a causa della sua attività sportiva – racconta la moglie Loredana – negli ultimi giorni però le fitte erano aumentate e lui che pur ha una capacità di sopportazione notevole si lamentava molto. Lo portai al Monzino”.
“Mi dissero: vuoi vivere o vuoi morire”
Ancora Bellugi: “Scoprii gli arti, le gambe erano nere fino all’inguine. Un medico mi chiamò quella sera per informarmi che era stata compromessa la circolazione periferica delle gambe. Si erano verificate piccole ischemie ai vasi capillari. Mi dissero “Vuoi vivere o vuoi morire?”, perché se non fossero intervenuti subito la cancrena sarebbe salita ancora. Dovetti decidere subito, non le dico la mia faccia quando il chirurgo Piero Rimoldi mi disse che avrebbe dovuto amputare anche la gamba con cui avevo segnato al Borussia Mönchengladbach. Ho assistito da sveglio a quando mi hanno tagliato a fette i polpacci.
Ero ricoverato nel reparto Covid perché nel frattempo ero affetto anche da una polmonite. Avevo fatto amicizia con un ragazzo di 25 anni, Edoardo. Videochiamava i genitori per tirarli su di morale. Un giorno mi ha salutato mentre lo portavano via, è mancato. Morivano
come mosche”.
La vicinanza del mondo Inter
“Massimo Moratti è il numero uno, era più disperato di me. La Bedy, sempre a casa mia, la numero due. E poi Beppe Marotta: mi ha detto che un posto per me in società ci sarà sempre: “Tu sei stato la storia””.
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