Benvenuti al quarto appuntamento della rubrica Convivium. Con noi oggi un grande professionista, ovviamente di fede nerazzurra. Stiamo parlando di Valerio Iafrate, giornalista, responsabile della comunicazione degli eventi sportivi per la RAI e docente di Storia e Cultura Americana all’Università degli studi di Roma – Tor Vergata.
“Io sono un ottimista per natura – il che, tifando Inter, potrebbe essere addirittura strano…- e nutrivo buone sensazioni già da venerdì. Sinceramente, però, non credevo ad un successo di proporzioni così vaste e ad un dominio praticamente totale (a parte i primi dieci minuti della ripresa). Al gol di Lukaku in realtà il primo pensiero che ho avuto, dopo essermi ripreso, naturalmente – ero nel mio studio, dove guardo tutte le partite dell’Inter, e dove posso esultare liberamente, senza che mia moglie si spaventi 🙂 – è stato: “Perfetto. Gol e assist, superbonus al Fantacalcio assicurati, adesso puoi anche uscire, Romelu, evitiamo di farci male”.
“Non ho mai avuto dubbi su un aspetto: quello che avevamo visto fino al derby di Coppa Italia non era, non poteva essere, il vero Christian. Uno che predica calcio come lui, che in ogni paese dove ha giocato ha lasciato un segno profondo, non poteva essere “poco funzionale” (e dico la verità, ci ero rimasto male per quella battuta di Marotta). Il calcio, però, è come la vita secondo la mamma di Forrest Gump, è davvero una scatola di cioccolatini, e quel gol su punizione ha cambiato tutto. Per fortuna. E in ogni caso in questa storia a lieto fine il merito è sia di Conte, che lo ha pungolato, forse anche strapazzato – gli spiccioli di partita… – ma sicuramente aspettato, perché in allenamento vede cose che altri non vedono, sia, soprattutto, di Eriksen stesso, professionista esemplare”.
“Sicuramente le crisi, anche societarie, sono più semplici da superare da primi in classifica che arrancando tra la quinta e la settima posizione, come succedeva ai tempi di Thohir. Non ho elementi per dirlo con certezza, ma penso che già nel vertice di agosto Steven Zhang conoscesse l’entità del problema delle aziende estere del gruppo Suning, e che quindi non abbia nascosto nulla: allo stesso modo credo che la tranquillità di queste ultime settimane sia data, oltre che dalla posizione in classifica, anche da rassicurazioni che arrivano da Nanchino”.
“La mia è una risposta più da tifoso che da esperto di economia (quale non sono, peraltro): la ricerca di un prestito ponte per reperire la liquidità necessaria fino a fine stagione espone certamente al rischio private equity, ma penso che sia la strategia migliore per un gruppo che nell’Inter ha investito moltissimo negli ultimi due anni, e che attraverso l’Inter vuole continuare ad operare, dentro e fuori i confini cinesi. Sono fiducioso che, con la pandemia finalmente alle spalle, anche i problemi di Suning saranno solo un ricordo”.
“La voglia di vincere, di provarci sempre, di non mollare mai è nel DNA della Juve: spero, ovviamente, che il filotto di scudetti si interrompa a maggio, ma credo che i bianconeri saranno lì a lottare fino alla fine. Ho già cerchiato di rosso, sul calendario, la data dello scontro diretto…”.
“A me piacerebbe davvero un’iniziativa del genere, anche se, a parte rarissimi esempi (il Barcellona, i Green Bay Packers nell’NFL) l’azionariato popolare nello sport non ha sempre funzionato: è anche vero, però, che il mondo della finanza, come quello dello sport, hanno dimostrato di potersi evolvere insieme e quindi, ammesso che succeda, se mi offrissero un pacchetto di quote dell’Inter le prenderei al volo…”.
“Non ho avuto la fortuna di conoscerlo direttamente, purtroppo, ma ho ho avuto la conferma, da chi lo conosceva, che si trattava di un uomo buono, una persona per bene. Come calciatore lo ricordo più con la maglia della Nazionale ad Argentina ’78 che con quella dell’Inter (sono nato nel ’70, quindi ero davvero troppo piccolo negli anni della sua militanza in nerazzurro per poterlo ricordare)”.
“Credo che venerdì, al termine dell’assemblea di Lega, avremo tutti le idee più chiare, anche se, per il momento, l’offerta di DAZN sembrerebbe economicamente più rilevante rispetto a quella di SKY. Penso, però, che il sempre più probabile ingresso di fondi privati nella costituenda media company che dovrà gestire i diritti televisivi della Serie A sia sul mercato nazionale che su quelli internazionali possa essere dirimente: un dato certo è che il valore globale del calcio italiano non può essere tanto distante da quello spagnolo o da quello tedesco, anche se in questo momento siamo proprio “in coda” a questa classifica, proprio dietro Spagna – che ci ha superato nell’ultimo triennio – Germania e l’inarrivabile Inghilterra, che “monetizza” in modo esemplare le immagini della Premier League”.
“Prima di tutto grazie per i complimenti, e per aver pensato a me per questa intervista. La passione per l’Inter è una questione di famiglia: mio nonno materno (Alberico, che ho voluto omaggiare nel mio ultimo libro, il thriller “Il cerchio di Venere”, dando il suo nome ad uno dei protagonisti), imprenditore edile, era un tifoso sfegatato e, compatibilmente con il suo lavoro, frequentava spesso San Siro, nonostante la distanza – io sono originario di Arpino, in provincia di Frosinone – e cominciò a portarmi con sé, io primo nipote, più o meno quando avevo sette-otto anni. Da lì è nato tutto, e una delle cose più divertenti che mi siano capitate nel corso della mia carriera fu una delle prime telecronache che feci a Sky Sport – nel mio periodo milanese, quando seguii il mio allora direttore in Rai, Giovanni Bruno, proprio nell’avventura di Sky – commentando proprio l’Inter, a Bergamo, con Carlo Muraro, uno degli idoli della mia fanciullezza. A distanza di anni, anche dopo il mio ritorno in Rai, ogni volta che sento Carlo scherziamo sulla cosa… Se devo scegliere un nome, però, uno solo, dico Nicola Berti: un puro simbolo dell’interismo”.