L’Inter prima in classifica ha svariati simboli. La coppia gol Lukaku-Lautaro, Barella
centrocampista della next generation, Bastoni difensore del futuro. Tante gigantografie nerazzurre.
Un giocatore più di altri però racconta la trasformazione e l’evoluzione
dell’Inter: Ivan Perisic.
Il croato è l’esempio vivido del cambiamento, caratteriale e tecnico. Due estati fa, quando Conte sbarcò alla guida dell’Inter fu categorico: «Perisic non può fare l’esterno a tutta fascia». Era il luglio 2019. Il giocatore l’anno prima aveva chiuso il Mondiale di Russia con la medaglia d’argento e nell’ultima stagione di Spalletti, nel ruolo di attaccante esterno alto di sinistra, aveva quasi sempre giocato da titolare (34 gare su 38), segnando 8 reti. A dispetto dei numeri non una stagione esaltante, segnata da continui alti e bassi.
Il ritorno in Germania è stato difficile all’inizio, poi a lungo vissuto senza una maglia da titolare e chiuso in modo trionfale con uno scampolo di finale di Champions League e il «Triplete» tedesco in bacheca. Il Bayern però decide di non riscattarlo anche per l’ingaggio alto: 4,5 milioni netti sono troppi per una riserva. Conte inizia a lavorarselo. La crisi societaria e il mercato a zero fanno il resto. Perisic ha il merito di mettersi a disposizione, di cercare una seconda vita sportiva a 32 anni. L’ultimo derby vinto è stato la sua consacrazione. Perisic ci ha messo un po’ di più ad adattarsi al ruolo di “tuttafascia”, a calarsi nella parte. L’Inter lo ha riscoperto anche per il vistoso calo di Young. Oggi si sprecano i paragoni con l’Eto’o di mourinhiana memoria“.