Scissioni, separazioni, cambiamenti, veleni. La storia della SuperLega è qualcosa di già visto.
“Bisogna tornare indietro di esattamente un secolo – è l’analisi de linkiesta.it. – Nel 1921: la pandemia di Spagnola più o meno si conclude nel dicembre del 1920. Ebbene: per il 1921-1922 l’albo d’oro del calcio nazionale registrò non una, ma ben due squadre campioni. Per spiegare, bisogna partire dal sistema “federale” allora in vigore. Riproposto ad inizio millennio da Clemente Mastella per aumentare la presenza di squadre meridionali. Due campionati del Nord e del Sud attraverso gironi regionali, semifinali interregionali e finali, e finalissima tra i vincitori delle due zone.
Ma la formula era pletorica: nel 1921 avevano partecipato ben 88 squadre, di cui 64 del Nord e 24 del Sud. Oppressi dalle troppe trasferte e da un calendario interminabile, gli “squadroni” dell’epoca diedero allora l’incarico di studiare una nuova formula a un giovane tecnico. Costui che nel 1912 aveva accompagnato la giovanissima nazionale azzurra alle Olimpiadi svedesi, era anche un ex-calciatore in Inghilterra e in Svizzera. Il suo nome: Vittorio Pozzo. Eroico tenente degli Alpini durante la Grande Guerra.
Pozzo studiò e propose di dividere le squadre del Nord tra quattro serie. In base a «valore tecnico del momento, anzianità, saldezza finanziaria», con retrocessioni e promozioni. Ma i “piccoli” si ribellarono: umiliazione a parte, la mancata possibilità di essere visitate dagli squadroni avrebbe significato per loro una ghigliottina. Sarebbero calati gli incassi proprio nel momento in cui iniziava a delinearsi nel calcio un grande business spettacolare.
Poiché erano maggioranza, i 40 club del Nord destinati al declassamento bloccarono la riforma. Ma a quel punto furono gli squadroni a fare secessione, e nacque così la Confederazione Calcistica Italiana, Cci.
Curiosa analogia con la Guerra Civile Usa: non solo gli scissionisti si autodefinirono «confederati» contro i «federali» della Figc. Ebbero anche l’appoggio massiccio dei «sudisti», per il momento non minacciati dalla riforma.
Solo le sei squadre toscane ebbero la bischeraggine tipicamente da toscanacci di infilarsi coi 40 «ortodossi» nordisti nel «campionato decauville». Come i rivali chiamarono per irrisione il campionato Figc, paragonandolo con i trenini a scartamento ridotto.
Nella finalissima del campionato Figc la Novese di Novi Ligure si impose per 2-1 sulla Sampierdarenese. Quest’ultima antenata della Sampdoria (ma l’Andrea Doria, l’altra antenata, andò invece con la Cci). La Novese è una delle squadre che, assieme a Genoa, Pro Vercelli, e Casale, ha vinto scudetti solo prima dell’arrivo del Girone Unico, nel 1929-30. A differenza delle altre tre, però, è l’unica a non essere mai riuscita a partecipare alla serie A, costituita appunto nel 1929. Al massimo, è arrivata alla serie C.
I due gironi da 12 squadre a testa della Lega Nord (sic!) della Cci, secondo la formula di Pozzo, selezionarono invece Genoa e Pro Vercelli. I vercellesi, dopo aver pareggiato 0-0 in casa e aver vinto 2-1 in trasferta, divennero infine campioni dopo aver liquidato per 5-2 e 3-0 la Fortitudo. Squadra della capitale antenata della Roma, e vincitrice tra le 31 della Lega Sud.
A campionati ancora in corso, però, Figc e Cci avevano intanto ripreso le trattative. Volevano evitare il ridicolo di mandare in giro per il mondo anche due nazionali contrapposte.
In quella stagione gli Azzurri disputarono anzi quattro partite. Fu 1-1 con la Svizzera a Ginevra il 6 novembre 1921, con una formazione tutta di giocatori del «campionato decauville». Tre della Novese, due della Lucchese e uno a testa per Valenzana, Spes Genova, Reggiana, Virtus Bolognese, Sampierdarenese e Saronno.
Finì 3-3 con l’Austria a Milano il 15 gennaio 1922, in una squadra che aveva ben 7 elementi della Cci. Quattro del Genoa e uno a testa per Casale, Novara e Modena. Per la Figc, invece, due della Novese, uno della Lucchese e uno della Valenzana.
Uno a zero contro la Cecoslovacchia il 26 febbraio a Torino, con una formazione più equilibrata. Sei erano infatti della Cci: tre del Genoa e uno a testa per Casale, Alessandria e Novara. Cinque della Figc: due della Lucchese e uno a testa per Valenzana, Novese e Reggiana.
Nel 4-2 contro il Belgio il 21 maggio a Milano la Cci ne esprimeva ben otto. Tre del Genoa e uno a testa per Brescia, Casale, Novara, Alessandria e Modena. Solo tre per la Figc: di Reggina, Lucchese e Novese.
Va detto che come goal segnati i giocatori della Figc riguadagnavano un po’ di equilibrio con cinque su nove. Quattro del centravanti Moscardini, della Lucchese, e uno dell’interno sinistro Santamaria, della Novese.
I quattro goal Cci erano invece tre dell’interno destro Baloncieri, dell’Alessandria; e uno del centromediano Burlando, del Genoa. La vicenda di una Nazionale espressione di due diversi campionati vale non solo come “strano ma vero”. Serve anche da una parte per mostrare come poi certi problemi teorici siano stati di fatto risolti, con un po’ di buon senso.
Probabilmente potrebbe essere così anche per la convivenza tra Superlega, altre competizioni europee e campionati nazionali. Dall’altra l’evoluzione della Nazionale dimostra come la maggior rappresentatività della Cci rispetto alla ufficiale Figc si sia imposta comunque da sola, proprio con queste convocazioni.
Anche il netto successo di pubblico e incassi degli scissionisti sugli ortodossi favorì infine il compromesso. La Cci rientrò infatti su una formula per il Nord di 36 squadre su 3 gironi, di cui però solo 11 del «campionato decauville».
Un nuovo scontro si accese nel 1924 quando la Juventus di Giovanni Agnelli comprò il terzino Virgilio Rosetta dalla Pro Vercelli. La Figc decise di annullare tutte le partite in cui il «mercenario» aveva giocato.
Per solidarietà con i bianconeri, la Lega Nord, dominata ormai dagli ex-«confederati», minacciò una nuova scissione. Ma nel frattempo era arrivato al potere Mussolini. Tramite il sottosegretario Aldo Finzi impose alla Figc di cedere alla Lega Nord, accettando il principio della compravendita dei calciatori.
Di lì a poco sarebbe divenuto presidente della Figc Leandro Arpinati. Ras di Bologna, grande tifoso della squadra omonima, e pilota della nascita del girone unico, dal 1929-30.
Curiosamente, entrambi sarebbero stati emarginati dallo stesso fascismo. Arpinati al confino nel ’34 dopo un litigio con Starace, cui aveva negato l’ingresso gratis a una partita. Finì per collaborare con i partigiani non comunisti, ma altri partigiani lo uccisero il 22 aprile del 1945, per saldare antichi conti in sospeso. Finzi finì in disgrazia per le leggi razziali, e fu poi fucilato alle Fosse Ardeatine. Già accusato di aver insabbiato le indagini sul delitto Matteotti, è oggi sepolto tra i martiri dell’antifascismo.
Eppure si deve proprio a questi due Bucharin in camicia nera il lancio definitivo del calcio italiano a sport di massa e giocattolo di lusso del regime. Ponendo anche le premesse per la grande nazionale che tra 1934 e 1938 avrebbe vinto due mondiali e un torneo olimpico. Proprio sotto la guida di Vittorio Pozzo.
(FONTE: L’INKIESTA.IT)