Otto mesi dopo, ci risiamo. Dopo un lungo periodo nel quale Antonio Conte non ha prestato il fianco alle speculazioni in ottica futura, scegliendo la via della diplomazia ogni qualvolta è stato interrogato sui programmi relativi alla prossima stagione nerazzurra, il tecnico nerazzurro è tornato se stesso. Ieri, in quel di La Spezia, ha risposto in maniera diretta e onesta, sottolineando che “a fine stagione si dovrà fare chiarezza, i piani societari sono cambiati per tanti motivi. Ci vuole un progetto chiaro, i tifosi lo meritano“. Dichiarazioni che non appaiono inedite, dal momento che già sul finire della passata stagione – in agosto – il tecnico aveva rimandato la sua decisione sul futuro, chiarendo che avrebbe voluto prima accertarsi dei piani societari. Il tutto culminò con l’ormai celebre e rinomato incontro di Villa Bellini, il 25 agosto 2020, quando Conte e l’Inter decisero di dire sì reciprocamente per la seconda volta. Un incontro fiume, della durata di tre ore, alla presenza dell’allenatore, del presidente Steven Zhang, della dirigenza al gran completo, composta da Marotta, Ausilio, Antonello, Zanetti e persino dall’avvocato nerazzurro Capellini. Oggi quella giornata è stata nuovamente tirata in ballo: potrebbe verificarsi un remake del meeting di Villa Lombardo, a fine stagione, quando presumibilmente Zhang Junior sarà ritornato in Italia. Già, ma cosa è cambiato da allora? E soprattutto, ci sarà un terzo sì?
La prima stagione del Conte nerazzurro era stata senza dubbio tormentata, più in riferimento ai rapporti con dirigenza e proprietà che non sul fronte strettamente calcistico. Dopo anni di triste anonimato, l’Inter era tornata protagonista, pur non riuscendo a centrare alcun trofeo: secondo posto in campionato, finale di Europa League. Ad un passo dal traguardo. Il tecnico nerazzurro era apparso più volte nervoso, esasperato e logorato dopo una stagione dura: sentimenti esacerbati dall’incapacità di portare a casa un titolo. Per la prima volta, Conte non aveva riempito il palmares nella stagione d’esordio, incrinando una personalissima e vincente regolarità verificatasi con Juventus e Chelsea. A fine stagione, tuttavia, l’opinione comune e quella degli stessi interisti era che il tecnico – non avendo a disposizione una rosa da scudetto, assodato il considerevole gap ancora esistente con la Juventus a livello di organico – avesse svolto un ottimo lavoro. Conte, tuttavia, dopo Bergamo (2 agosto) e dopo la finale di Colonia (21 dello stesso mese) decise di imprimere un forte strappo, parlando di “mancanza di protezione“, annunciando di non voler essere nuovamente “parafulmine“, arrivando addirittura a salutare e ringraziare i tifosi dell’Inter per averlo accolto con favore nonostante fosse arrivato a Milano con un passato da nemico. Fermo restando che non possiamo sapere cosa sia effettivamente successo nel corso della passata stagione da condurre Conte a parlare in questi termini, la sensazione dei tifosi nerazzurri fu senza dubbio quella di smarrimento: Marotta aveva ribadito la fiducia al tecnico anche durante i momenti difficili della stagione, il presidente Zhang – prima del Covid – si era ormai stabilito in pianta stabile a Milano garantendo una gestione quotidiana e appassionata della società. Ed eccola, la vera differenza che intercorre fra lo scorso agosto e l’attuale momento storico: la totale assenza della proprietà durante l’intera stagione.
Non possiamo ignorare le vicissitudini societarie che si sono verificate e che tutt’ora non sono giunte ad una soluzione definitiva. Se l’anno scorso in alcune dichiarazioni era difficile comprendere – da esterni – a cosa Conte si riferisse, quest’anno le difficoltà societarie sono sotto gli occhi di tutti, e la richiesta di chiarezza viene condivisa dallo stesso tifo interista insieme al proprio allenatore. Il presidente non mette piede in Italia ormai da settembre e durante tutta la stagione nessuna dichiarazione è stata rilasciata né da lui né dal gruppo Suning, a parte due righe affidate al sito ufficiale dell’Inter per smentire l’ipotesi di cessione il 2 gennaio. Tralasciando le problematiche riguardanti i pagamenti degli stipendi e le scadenze, difficoltà comuni a tutti i big team (il progetto Super League era sicuramente contrario ai valori fondanti dello sport, ma rappresentava una risposta disperata alla crisi indotta dalla pandemia), occorre soffermarsi proprio sulla presenza della proprietà nel mondo Inter. Che non deve essere necessariamente fisica, poiché siamo ben consci delle difficoltà cui gruppi stranieri possono andare incontro in questo senso, ma che non può neanche tramutarsi in assenza a 360 gradi. Marotta e Conte, in questa stagione, sono letteralmente stati l’Inter. Hanno ottemperato agli inevitabili dubbi provocati dall’incertezza societaria, ai mesi turbolenti – in particolare gennaio e febbraio – nei quali la cessione della maggioranza appariva praticamente certa e in ambito mediatico non si parlava più dei risultati del campo. E proprio sul campo, l’Inter, cosa faceva? Vinceva. Tanto. E si prendeva un primato che resiste tutt’oggi grazie al lavoro, alla dedizione, all’appartenenza. Valori che nell’ultimo decennio erano spesso risultati sconosciuti nell’ambiente nerazzurro. Marotta e Conte hanno fatto sì che i dubbi dei calciatori non diventassero strascichi sul campo, riuscendo a trasformarli in materiale per compattare ulteriormente il gruppo e renderlo granitico.
Quando la dirigenza è stata colpita dal Covid dopo il derby stravinto a febbraio, a Conte è venuto meno anche l’ultimo scudo, ed ha avocato a pieno titolo il ruolo di (unico) punto di riferimento nel mondo Inter. Reazioni della squadra? Ancora vittorie, solo vittorie: undici consecutive e allungo forse decisivo in classifica. Se nella scorsa stagione il tecnico chiedeva di non voler vivere un’altra annata da parafulmine, nonostante l’impressione collettiva non fosse in linea con le sue dichiarazioni, quest’anno – quel tipo di stagione – l’ha vissuta realmente e nessuno può negarlo. Ha commesso errori, vero: l’ultimo posto nel girone di Champions League ha rappresentato sicuramente una bruciante ferita nell’orgoglio di calciatori e tifosi. Ma ci si è rialzati da squadra, affondando e risorgendo insieme, come chiedeva Al Pacino in Ogni Maledetta Domenica. Adesso mancano sei partite, Conte è pronto a condurre la nave in porto e a coronare quel sogno che all’Inter manca da undici, lunghissimi anni. Ma è naturale che, dopo una stagione così complicata, l’allenatore chieda di incontrare la dirigenza e far luce sul futuro. Anzi, è scontato. Certo, si può evitare di dichiararlo pubblicamente, ma la sostanza non cambia e chiunque al suo posto farebbe lo stesso.
Cosa chiederà, Conte? Neppure lui si aspetta un mercato che preveda sforzi economici, che al momento sono preclusi a causa di un bilancio sofferente e della situazione generale niente affatto rosea. Più probabile che vorrà sapere se c’è effettivamente il bisogno di cedere qualcuno dei cosiddetti big, ma soprattutto – come l’anno passato – chiederà chiarezza per quanto riguarda gli obiettivi del prossimo anno. La scorsa estate, dopo un mercato a costo zero nel post-Hakimi, aveva chiesto che l’Inter specificasse di non avere l’obbligo di vincere lo scudetto. Così è stato fatto. Quest’anno, se tricolore sarà, il tormentone estivo riguarderà certamente il percorso nerazzurro in Champions League del prossimo anno. Per Conte, lo sappiamo, gli obiettivi devono essere congrui agli investimenti. Per ambire alla vittoria della massima competizione europea serve un mercato corposo e quindi particolarmente oneroso. Un’ altra sessione creativa, dopo il non-mercato di gennaio, non collocherebbe l’Inter in una situazione diversa da quella attuale in termini di obiettivi. Riuscire a qualificarsi agli ottavi di finale questa volta sarebbe certamente obbligatorio, poiché era alla portata anche quest’anno e, se consideriamo che i nerazzurri potrebbero conquistare la prima fascia ai sorteggi, diventerebbe delittuoso non farlo. Ma per il vero salto di qualità serve altro, lo sappiamo. E serve soprattutto una situazione societaria ben definita. Conte vuole presentarsi dal suo presidente con lo scudetto in mano e parlare di futuro: siamo sicuri che il primo a voler andare avanti sia proprio il tecnico, che a più riprese ha dichiarato di aver voglia di vivere un progetto a lungo termine con l’Inter. Basterà per il terzo sì?
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