Dazn ha pubblicato sui propri canali l’intervista rilasciata da Antonio Conte dopo la vittoria dello Scudetto e prima del suo addio all’Inter. “Avrei voluto vivere più Milano per il discorso del Covid che ci ha costretto a rimanere spesso a casa. Ho portato con orgoglio le mie origini pugliesi, come ho fatto in ogni altra città. La canzone O mia balla Madonnina? La conosco”.
La sua voce?
“Gli inizi di carriera sono stati terribili. Alla fine di ogni partita finivo sempre la voce e quando andavo a parlare ai microfoni facevo fatica, più volte ho dovuto mandare il mio assistente al posto mio. Ho lavorato molto sotto questo aspetto, mi sono allenato. Durante le partite mi idrato molto cercando di arrivare nel post-partita con un minimo di voce. Mi è sempre piaciuto cantare, poi quando ho iniziato a fare l’allenatore sono diventato stonato. Avevo una pianola a casa, mi piaceva molto, mi dilettavo. Ligabue era uno dei miei preferiti.
Si aspettava lo Scudetto?
“L’obiettivo quando ho firmato per l’Inter era un progetto triennale, dove comunque bisognava riportare il club a lottare per obiettivi importanti. Esserci riuscito al secondo anno penso sia stata una grande cosa”.
La sua passione per il flipper.
“Questa passione è nata durante l’infanzia, non c’erano tantissime cose da fare oltre a giocare a calcio. Andavo alle sale giochi anche se mio padre non voleva. Guardavo gli altri giocare perché ci volevano i soldini. Il flipper lo considero un antistress, mi distoglie dal mio perenne pensiero per il calcio”.
Qual è il sacro graal per Conte allenatore?
“Vincere la Champions è un obiettivo che mi auguro di raggiungere quanto prima”.
Antonio Conte dorme mai?
“Si fa fatica a dormire quando sei allenatore, perché si hanno responsabilità di un gruppo di persone non solo di calciatori ma un po’ di tutto. Quindi è normale che abbia difficoltà a dormire avendo così tanti pensieri per la testa. Mi è capitato che nel pensare al dopo vittoria mi sono rovinato il momento in cui devi gustare i sacirifici fatti. Quando vinci devi festeggiare e il festeggiamento te lo devi portare dentro, perché sei stato ripagato dei tanti sacrifici fatti fino a quel momento”.
Ha mai trovato equilibrio tra famiglia e lavoro?
“Ho mia figlia che è appassionata ad Antonio Conte papà, non allenatore. Fare l’allenatore non è semplice, soprattutto se lo vuoi fare ad alti livelli perché lo stress è veramente tanto e devi saperlo gestire. Pirlo? Non gli consiglio di fare l’allenatore ma di rimanere nel calcio con altre mansioni”.
Qual è stato il momento decisivo della stagione?
“Quando abbiamo sorpassato il Milan. In quel potevano accadere due cose: o reggevi alla pressione o cadevi nell’ansia. Noi abbiamo accelerato e chi c’era dietro ha faticato”.
La squadra ha assecondato tutte le sue scelte.
“Una cosa che mi riconoscono i miei calciatori: meglio una brutta verità che una bella bugia. Su una brutta verità, anche se al momento chi lavora con te ci può rimanere male, poi alla fine apprezza e portano ad un ragionamento, una riflessione e forse un miglioramento”.
Ogni sua vittoria, sia da calciatore che da allenatore, non sono mai state scontate. Dietro c’è tanto sacrificio e passione.
“Da calciatore ho avuto tantissimi infortuni che mi hanno temprato. Ho accumulato molta cattiveria, nel senso buono. Non mi sono mai arreso e per questo le difficoltà non mi spaventano. Da calciatore ero bravo, ho avuto soddisfazioni a livello di club e con la Nazionale, ma ho anche perso tanto. Molte sconfitte (come le finali perse di Champions, la finale degli Europei) hano accumulato tanta rabbia in me e lavoro per non rivivere più quei dolori. Da allenatore cerco di trasmettere questo pensiero anche ai calciatori”.
In queste due stagioni chi è maturato di più secondo lei?
“I ragazzi sono maurati. Per molti di loro è la prima volta che vincono qualcosa. La vittoria poi ti deve entrare nel cervello e devi esasperare in certe situazioni. Tutti quanti stanno iniziando un percorso vincente. Non solo hanno vinto il campionato italiano, hanno vinto un campionato dopo che 9 anni c’era stata solamente una storia. Il fatto che ci siano riusciti loro a fare questa impresa, gli va dato grande merito”.
I suoi maestri sono stati fondamentali nella sua carriera. Il primo è stato suo papà Cosimino Conte, suo presidente ai tempi della Juventina Lecce.
“Parlare di papà mi emoziona sempre. Primo presidente, primo allenatore, la mia famiglia è stata importante. Prima venivi ‘buttato’ in strada perché papà e mamma dovevano lavorare. Prima c’era la strada che ti faceva crescere, la famiglia era importante ma in strada ti dovevi difendere, avevi a che fare non solo con bravi ragazzi ma anche con potenziali delinquenti. La famiglia è stata molto molto importante per me, ma papà e mamma hanno avuto un ruolo importante. Papà è sempre molto chiuso, però so che è molto orgoglioso”.
Altro suo grande maestro è stato Carlo Mazzone.
“Con lui è arrivato il mio primo gol in Serie A. Mi ricordo che ci massacrava tanto. Lo faceva per il nostro bene. E’ stato un grande maestro nella carota e nel bastone, adesso io sono diventato più bravo di lui. Fascetti e Mazzone li porto nel cuore, ringrazierò sempre entrambi”.
Facciamo finta che devo assumerla a capo di un’azienda. Perché dovrei assumerla?
“Dovrebbe assumermi perché sono un vincente, sono una garanzia dal punto di vista lavorativo e umano. Fossi io a capo dell’azienda, mi affiderei l’incarico”.
I suoi pregi e i suoi difetti?
“Do tutto me stesso, non mi risparmio e posso valorizzare l’azienda. Difetto? Non penso di avere difetti da questo punto di vista, chi dà sempre il massimo per il posto in cui si lavora non può avere grandissimi difetti. Devi avere la giusta presunzione, arroganza, però deve essere sempre figlia del tuo lavoro, impegno, onestà. Forse sono troppo onesto, ma lo considero più un pregio che un difetto”.
Dove si vede tra cinque anni?
“Non lo so. Mi piacerebbe fare esperienze all’estero. In America ci andrei volentieri, abbinerei l’aspetto calcistico alla vita di Los Angeles o Miami”.
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