Il portiere e capitano nerazzurro, Samir Handanovic, ha rilasciato un’intervista a Tuttosport nella quale ha toccato diversi temi: lo Scudetto appena vinto, la fascia da capitano, l’eredità di Conte, le ambizioni della nuova Inter di Simone Inzaghi, e il suo futuro. Si comincia da un auto-ritratto: “A volte mi sento il Bukowski dei portieri: non bevo, non fumo ma come lui sono un tipo diretto che, se deve dire una cosa a qualcuno, va dritto”. Ecco gli altri passaggi più interessanti:
Samir, quel giorno a Pinzolo ci aveva detto che arrivare all’Inter per lei sarebbe stato come iniziare l’università. La laurea è arrivata con la fascia da capitano o con lo scudetto?
“La fascia di capitano e lo Scudetto sono dei master, la laurea è arrivata vivendo i difficili momenti di transizione che il club ha passato in questi anni. È stato un percorso di crescita, era difficile prevedere quanto sarebbe durato per trovare compimento”.
Vienna, 13 febbraio 2019: lei esce dal campo dopo la prima partita con la fascia al braccio mentre la curva urla il suo nome: cos’ha pensato in quel momento?
“Mi sono sentito leggero, nonostante la responsabilità che provavo indossando la fascia. Una fascia che pesa perché noi possiamo scrivere solo qualche pagina della storia, ma l’Inter resta”.
Lei ha scelto l’Inter per vincere: si è dato una spiegazione sul perché ci avete messo tanto a farlo?
“Nove anni fa, io e l’Inter ci siamo scelti a vicenda. Ci abbiamo messo tanto perché è sport, non matematica e in questo periodo, evidentemente, c’è stato qualcuno più bravo di noi. Anche per tornare in Champions ci abbiamo messo tanto tempo, nonostante per un club come l’Inter quello sarebbe stato un traguardo minimo. Per vincere, però, ci vogliono tante cose: le persone giuste e linee guida chiare che vengano rispettate da tutti”.
“In questi anni abbiamo costruito un certo tipo di mentalità che non può essere dimenticata solo perché due giocatori forti (Lukaku e Hakimi, ndr) sono andati via. L’Inter ha fatto il Triplete dopo la cessione di Ibrahimovic mentre la Lazio, ai tempi, ha vinto lo Scudetto dopo l’addio di Vieri. Entrambi grandissimi campioni, d’accordo, ma questo conferma come il gruppo è quello che ti fa remare avanti e che non bisogna dipendere da uno o due giocatori. Quando mi giro nello spogliatoio, vedo tanti giocatori forti e professionisti seri. Questa è una squadra che può e deve continuare a vincere. Non so se siamo più o meno forti rispetto a un anno fa, ma sicuramente siamo più completi. E abbiamo pure più esperienza”.
Andare in campo con lo scudetto sul petto, aumenta le responsabilità oppure vi dà ancora più sicurezza?
“Io ribalterei il concetto: affrontare una squadra che ha vinto può aumentare le motivazioni dei nostri avversari. Noi, invece, dobbiamo solo pensare a mettere in campo quello che abbiamo preparato”.
Rispetto a un tempo, gli avversari vi guardano in modo diverso?
“Certo. E questo accade già da 2-3 anni. Chi gioca, percepisce di trovare di fronte una squadra forte: a me capitava ai tempi dell’Udinese nell’affrontare l’Inter. E oggi accade lo stesso agli altri quando ci incontrano”.
“Noi giocatori dobbiamo soltanto ringraziare Conte, anche se sono stati due anni impegnativi con lui. Quello che mi ha colpito di più è la mentalità che ha portato e su questo credo che abbiamo fatto il passo più grande. Conte è uno che si emoziona quando parla alla squadra e sa emozionare i suoi giocatori e non sbaglia mai il momento in cui dire le cose”.
“Con Inzaghi siamo ripartiti con il 3-5-2, tante cose buone sono rimaste e lui ci ha messo le sue idee spiegandoci in cosa possiamo anche migliorare per crescere ancora. È un mio ex compagno di squadra? Era simpatico, un grande uomo spogliatoio. Mi ha fatto una certa impressione ritrovarlo da allenatore”.
Chiusa un’ossessione (quella di tornare a vincere), eccone un’altra: superare il turno in Champions. Le tante delusioni negli ultimi anni cosa insegnano?
“Cercheremo di dimostrarlo in campo cosa ci hanno insegnato tutte quelle delusioni, non serve dirlo a parole”.
Magari anche qui vi può aiutare un po’ l’esperienza?
“Mah, siamo sempre arrivati all’ultima partita con in mano il nostro destino, quindi conta fino a un certo punto. Ci è mancato sempre quel poco che diventa tanto se non si centra l’obiettivo”.
“Come vivo l’errore? Ci vuole un po’ per metabolizzare sconfitte ed errori, ma tutto deve avvenire nella maniera giusta: se sbagli, vuol dire che sei vivo. Ormai sono grande: ho 37 anni e non mi deve spiegare più nessuno quando ho sbagliato perché so di averlo fatto. Poi, sotto la pelle, tutti abbiamo sangue, è normale. Meglio se dopo uno sbaglio vinci, a quel punto te ne freghi“.
Ha già iniziato a pensare a cosa fare dopo?
“Voglio rimanere nel calcio e provare a fare l’allenatore. I miei modelli? Devi prendere qualcosa da tutti, ma poi avere un’idea, quelle sono importanti”.
Samir, lei ha il contratto in scadenza: sentire e leggere di Onana e altri suoi possibili eredi è un fastidio, la carica oppure fa parte del gioco?
“Fa parte del gioco. Son cose che succedono dappertutto e con tutti, poi è normale: mi sento ancora bene, mi diverto, vivo per il calcio che è la mia passione. Ora penso all’oggi, poi vedremo. L’importante è che l’Inter raggiunga i suoi obiettivi”.