Club schiavi delle nazionali: perché Inzaghi e Sarri hanno ragione da vendere

Oggi avversari. Ieri, in conferenza, accomunati dallo stesso sacrosanto malessere: l’impossibilità di sostenere allenamenti a ranghi completi in vista di una sfida così importante. L’Inter sarà più penalizzata della Lazio, certo, perché i sudamericani fra i nerazzurri sono ben cinque, e due di questi (i cileni) non sono stati neppure convocati. Ma il tema sosta per le nazionali e gli assurdi calendari che essa comporta sono di grande attualità e rappresentano uno scoglio granitico per gli allenatori.

Inzaghi e Sarri, dicevamo, alla vigilia del big match di oggi all’Olimpico hanno esternato tutto il loro disappunto. Il primo ha parlato così: “In Liga sono stati bravi a rinviare le partite, ma è un discorso che andava affrontato ad inizio stagione“. Queste, invece, le dichiarazioni del toscano: “Fino a ieri ci siamo allenati a ranghi ridotti, è difficile fare un’analisi con 12-13 giocatori. Tutti i mesi facciamo 7 partite in 20 giorni e poi i giocatori vanno in nazionale. Si allenano più con i rispettivi ct che con me. Non è più calcio questo, è uno show, in cui tutti i partecipanti cercano di spremere gli appassionati per fare soldi. Questo calcio non mi appartiene“.

Quella sacrosanta voglia di normalità

Entrambi avrebbero voluto preparare una partita di tale calibro in maniera normale: non chiedevano troppo, in una situazione che tuttavia di normale non ha niente. Inzaghi, che aspettava questa sfida da mesi e ha ammesso candidamente che “non sarà come tutte le altre”, ha visto i tre sudamericani che verranno convocati (Lautaro, Correa, Vecino) solo stamattina. Sarri, dopo la brutta sconfitta di Bologna che ha fatto dimenticare il derby vinto, è chiamato a riscattarsi dopo due settimane di critiche.

Il problema, però, non riguarda soltanto gli allenatori, le loro pressioni e i club coinvolti: è una questione che coinvolge la Serie A tutta, il movimento calcistico italiano nella sua interezza. Perché Lazio-Inter meritava di essere preparata diversamente, non lasciando spazio alla inevitabile improvvisazione cui si andrà incontro oggi.

Il valore delle Nazionali

Non si vuole sminuire il ruolo delle selezioni, né si vuole scadere in bizzarre proposte di abolizione: le Nazionali sono un patrimonio del calcio mondiale. Le manifestazioni estive hanno scandito le nostre vite e continuano a farlo, i recenti Europei hanno rappresentato una splendida occasione di ripartenza per l’intero continente, lanciando un forte messaggio di speranza e di entusiasmo. Guai a metterle in discussione. Ciò che si contesta non sono le nazionali, bensì queste maledette soste che costringono i club ad essere fattivamente subordinati – diciamo pure schiavi, nonostante siano solo questi ultimi a garantire i sostanziosi salari ai calciatori.

Interrompere praticamente ogni mese il campionato significa spezzettare, deteriorare, falsare la competitività, i valori, la costruzione delle squadre e i loro meccanismi. Significa impedire il necessario rodaggio, specialmente quando arrivano allenatori nuovi come Inzaghi e Sarri. Ma c’è di più, oltre alle interruzioni. I calendari, infatti, sono obbligati a tener conto delle numerose soste e l’effetto collaterale, dannoso quanto i continui stop, è rappresentato dalla concentrazione di partite in un lasso temporale estremamente ristretto. Per i club impegnati nelle coppe europee, fino alla prossima sosta, saranno altre 7 partite in 20 giorni: significa, praticamente, giocare e basta. Si può continuare così?

Riforma dei calendari

La Liga è intervenuta prontamente, rinviando le partite del sabato per quelle squadre che avevano giocatori coinvolti nelle nazionali. È sicuramente una soluzione che tutela i club spagnoli, garantendo loro una preparazione adeguata per i prossimi impegni e per le partite di Champions, nello specifico. Ma a lungo andare, può essere questa la soluzione?

Crediamo di no, anche perché è il tipico caso di coperta corta. Rinvii oggi, rinvii domani, arriverà un momento dell’anno in cui bisognerà recuperare le partite e si verificherà un inevitabile sovraccarico di impegni. Ciò che davvero servirebbe è una riforma dei calendari, con la quale condensare più partite delle nazionali a inizio stagione, facendo slittare l’inizio dei campionato e riducendo considerevolmente il numero di soste. Ma in questo caso servirebbe un intervento della FIFA. E qui il sorriso scatta spontaneo, se pensiamo che è la stessa federazione impegnata nel promuovere il Mondiale ogni due anni. Il che significa: ogni proposta sensata vada pure a farsi benedire.

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