La partita di ieri è stata pesantemente condizionata da una forzatura, anzi, sovversione del protocollo Var. Preso atto di aver assistito alle ennesime situazioni paradossali e singolari che le sfide con la Juventus puntualmente ci offrono, proviamo a concentrarci sugli aspetti tecnici, tattici e mentali che la serata di ieri ci ha regalato.
Le interpretazioni delle gare da parte degli uomini di Inzaghi erano state, fino al match contro la Juventus, monotematiche: squadra costantemente in attacco, idiosincrasia nell’adattarsi alle caratteristiche dell’avversario, fianco prestato alle ripartenze. Per questo, ieri l’Inter era chiamata a correggere alcuni difetti o almeno a provarci. Non è riuscita a farlo in pieno, ma i passi avanti si sono verificati.
Cosa va: l’Inter sa essere duttile
Simone Inzaghi ha utilizzato alcuni accorgimenti e ha preparato benissimo la partita. Nel primo tempo, i nerazzurri sono stati autoritari: l’impressione era quella di vedere una squadra da una parte e un’accozzaglia di giocatori dall’altra. L’Inter è stata migliore della Juventus per intensità, atteggiamento e mentalità, specialmente nei primi 45 minuti, nei quali ha vinto diversi duelli individuali.
Dzeko ha messo seriamente in difficoltà l’esperta retroguardia juventina composta da Bonucci e Chiellini, Barella ha dominato a centrocampo ben supportato da Brozovic (come sempre) e Calhanoglu (finalmente), Perisic ha completamente annullato Cuadrado, disputando una partita totale e risultando fastidiosa spina nel fianco per i bianconeri. Ottime le prove di tutti, unica nota stonata Lautaro, apparso stranamente svogliato e avulso da un’ottima interpretazione di gara da parte dei suoi compagni, che si sono esibiti in autoritarie uscite da dietro, buone trame offensive (sebbene le occasioni siano state poche, anche perché la difesa della Juventus rimane comunque di alto livello) e controllo indiscusso della partita.
In molti, poi, hanno asserito che l’Inter abbia “smesso di giocare” intorno all’ora di gioco. Indubbiamente i nerazzurri hanno abbassato il baricentro, ma nell’ottica di un intelligente adattamento all’avversario, cominciato inoltre dal primo minuto. Basti pensare alla posizione di Bastoni che, se nelle ultime uscite si era proiettato costantemente quasi a ridosso dell’area avversaria, ieri ha occupato una posizione più arretrata, in ragione della potenziale pericolosità dei vari Cuadrado, Kulusevski, Morata (poi Dybala e soprattutto Chiesa) in ripartenza.
Quello che i nerazzurri hanno fatto nell’ultima frazione di partita non è rinunciare a giocare: è ciò che, né più né meno, facevano anche nel girone di ritorno dello scorso anno in situazioni di vantaggio. Ha dimostrato di essere duttile. Ciò che è cambiato è la capacità di essere pericolosi in contropiede: ieri solo Barella e Perisic avevano il passo per poter condurre ripartenze pericolose. Non si può pretendere da Inzaghi, però, che questa squadra possa costantemente dominare il gioco anche contro avversari di livello, perché – con tutto il rispetto per la rosa nerazzurra – non parliamo né del Barcellona di Guardiola né del Milan di Sacchi.
L’Inter, d’altronde, era riuscita a non concedere praticamente nulla alla Juventus: i bianconeri sono stati protagonisti di un possesso palla sterile per gran parte del secondo tempo, dando l’impressione di non sapere esattamente cosa fare con la sfera fra i piedi, lasciando campo all’improvvisazione e alla speranza che, semplicemente, “succedesse qualcosa”. Speranza fondata, visto che – come di consueto – si è verificato un episodio singolare che ha concesso alla Juventus di pareggiare. Come ha ben detto Simone Inzaghi dopo la partita, “potevano segnare solo così”. Ovvero, con la follia di Dumfries che ha portato all’utilizzo (inappropriato, secondo il protocollo) del Var.
Cosa non va: punti persi da situazione di vantaggio
L’Inter ieri ha dimostrato di saper sfruttare una difesa posizionale, ordinata, ma nonostante questo ha subito il gol del pareggio per un episodio controverso ma, se ci concentriamo sull’entrata scoordinata e rischiosa di Dumfries, sicuramente inescusabile. Parliamo, comunque, di un errore individuale, non collettivo.
Tuttavia, ciò che rimane in classifica sono altri due punti che si volatilizzano e adesso sono ben 9 quelli persi da situazione di vantaggio: solo il Verona ha fatto peggio. A Roma c’era stato il gol con l’uomo a terra, ieri un altro episodio sfavorevole, ma se in ogni partita si verifica un qualcosa di dannoso e decisivo in negativo per l’Inter non può essere un caso. Significa che urge migliorare dal punto di vista delle scelte, della lucidità da parte dei singoli e pure nella capacità di diventare letali, chiudendo la partita quando se ne ha l’occasione. Specie se affronti la Juventus e sei ben conscio che, negli ultimi minuti con i bianconeri in svantaggio, “l’imprevisto” è dietro l’angolo. Da sempre e per sempre. Ieri, per esempio, Perisic ha avuto sui piedi l’occasione del 2-0 calciando con diverso spazio a disposizione dopo una corsa eccezionale: sarebbe stato il coronamento di una partita splendida, ma il pallone è finito altissimo. Si è trattato certamente di una sliding door.
L’unica cosa che davvero si può imputare a Inzaghi, al netto di una partita preparata e condotta bene sotto tutti i punti di vista, è la scelta del cambio Perisic-Dumfries. Il croato non stava bene già dall’intervallo, era ammonito e Chiesa aveva appena fatto il suo ingresso in campo: la scelta di sostituirlo ci poteva stare. Meno quella di affidarsi – in una partita così importante, in una fase ancor più importante – a un giocatore che fino ad oggi si è dimostrato ancora avulso dalla squadra (esordio contro il Bologna a parte), oltre che estremamente insicuro in fase difensiva. Probabilmente sarebbe stato più saggio andare sul sicuro, con l’ingresso di Dimarco o, in alternativa, di D’Ambrosio come quinto a destra: una garanzia in fase di non possesso.
Il tempo non è un dettaglio. E nemmeno una banalità
Spesso, quando si parla di allenatori nuovi, si sente dire “ha bisogno di tempo”. È una di quelle frasi che si ripetono molto spesso ma che corrispondono perlopiù a verità: ci sono meccanismi nuovi da oliare, peculiarità da formare e sicurezze da consolidare. Detto questo, ci sono allenatori a cui si richiede di fare più in fretta degli altri. In molti oggi lo chiedono a Inzaghi solo perché ha preso in eredità la squadra Campione d’Italia, ma ci si dimentica che tre pezzi importanti siano andati perduti e questo abbia significato stravolgere le caratteristiche di una squadra.
Se fossero rimasti Hakimi e Lukaku, per esempio, o almeno uno dei due, a Inzaghi si sarebbe giustamente chiesto di fare più in fretta, perché avrebbe potuto contare praticamente sulla squadra campione in carica in blocco. In estate, ormai lo sappiamo benissimo, non è andata così, e la follia di Dumfries ci ha ricordato quanto una sessione di enormi sacrifici sia costata all’Inter in termini tecnici e mentali. E allora sì, Inzaghi ha bisogno di tempo, non è una banalità. Ne ha bisogno perché sta formando una nuova creatura: sbraitare, chiederne la testa solo per il -7 dalla prima in classifica, non rendendosi conto del contesto circostante, ha davvero poco senso. Contestarlo per il fatto di “non essere Conte” è ingiusto per l’uomo e per il professionista, che sta dando tutto se stesso e che rimane un ottimo allenatore. Massima fiducia a lui. Chi ha fatto di tutto per indebolire l’Inter e per intaccarne un predominio duraturo sta altrove: non in panchina e nemmeno a Milano.
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