Stavolta non bastava la prestazione, non bastava appellarsi agli episodi avversi, non bastava dimostrare di non essere inferiori all’avversario: all’Inter serviva vincere. Anche con un pareggio, infatti, il messaggio sarebbe stato chiaro: quinto big match fallito, altra occasione di accorciare su una delle due capolista buttata al vento. Sarebbe significato, a prescindere dalla distanza in classifica, essere psicologicamente fuori dalla lotta Scudetto. I nerazzurri sono andati vicini ad autodistruggersi nel finale di partita e ci sarà modo di analizzare le difficoltà di gestione delle situazioni di vantaggio, ma l’urlo liberatorio – quello che arriva al termine di una battaglia vinta contro un avversario di spessore – è finalmente arrivato.
Dal gol di Zielinski fino a quello di Mertens si è vista un’Inter bellissima, padrona del campo (ha toccato addirittura il 62% di possesso palla sul finire del primo tempo), straripante nell’energia trasmessa e nella mentalità da grande. Da Campione d’Italia. Lo ha fatto con la personalità di Calhanoglu che ha trasformato un altro calcio di rigore pesantissimo dopo quello del derby; con la sicurezza trasmessa da Ranocchia – protetto da uno Skriniar monumentale – nonostante lo scontro con il gigante Osimhen; con il moto perpetuo di Brozovic, Barella, Perisic e Darmian; con le vampate di classe di Correa. E lo ha fatto anche con il gol ritrovato da Lautaro Martinez.
Il Toro non segnava su azione da fine settembre, ma soprattutto sentiva il peso di un rigore fallito nel derby. Il numero 10 dell’Inter è uno che – come tutti i grandi giocatori – si carica anche più del dovuto di responsabilità e si è sentito colpevole per i due punti persi contro il Milan. E così, nonostante l’immensa gioia che ha sicuramente provato dopo un gol decisivo che significava liberazione, ha subito chiesto scusa ai tifosi. Un gesto da campione, come lo ha definito Luciano Spalletti nell’intervista post-partita, perché – nel termine “campione” – non deve mai mancare la componente, la connotazione di umiltà. Perché è solo quella che ti consente di migliorarti sempre, di pensare di poterlo fare costantemente. Lautaro ha dimostrato di esserne dotato, conquistando ancor di più i tifosi nerazzurri, che quest’anno gli chiedono di diventare simbolo, leader tecnico indiscusso della squadra.
L’argentino ha messo un primo mattoncino propedeutico al salto di qualità, a questo cambiamento di status, da spalla di Lukaku a faro offensivo. Perché lo ha fatto nella partita più importante, proprio quando l’Inter ha sfruttato l’occasione di recuperare tre punti, in un colpo solo, a Napoli e Milan. Era il segnale che tutti ci aspettavamo, la conferma che per lo Scudetto l’Inter c’è, l’urlo che ci tenevamo dentro. Che sia il primo di tanti.