Oggi 27 gennaio si celebra in tutto il mondo la Giornata della Memoria: viene ricordato il 27 gennaio 1945 quando le truppe sovietiche dell’Armata Rossa arrivarono ad Auschwitz svelando al mondo l’orrore del campo di concentramento, uno dei luoghi del genocidio nazista, liberandone i pochi superstiti.
Ricordiamo la vicenda umana e sportiva di Arpad Weisz, ungherese di Solt, classe 1896, ex calciatore (ala sinistra) poi allenatore dell’Ambrosiana Inter scudettata nel 1930. Fu il tecnico più giovane a vincere lo scudetto in Serie A, Arpad aveva appena 34 anni.
Il punto di forza della squadra campione risiedeva nei metodi di allenamento: Weisz fu la prima guida tecnica ad accompagnare i suoi giocatori, durante le sedute, con maglietta e pantaloncini; introdusse inoltre specifici carichi di lavoro, curò la dieta dei calciatori e diffuse la pratica dei primi ritiri, ed era inoltre solito visionare personalmente i Boys, ovvero il settore giovanile. Proprio grazie a questa sua opera di scouting, nel 1930 scoprì — su consiglio di un altro grande centravanti interista, Fulvio Bernardini — un giovane ragazzo destinato a fare la storia del calcio italiano, Giuseppe Meazza, il quale emerse a neanche vent’anni come capocannoniere del campionato.
In “Il giuoco del calcio” – ripubblicato (Minerva Editore) – si trovano i capitoli fondamentali in cui sembra di riascoltare la voce del mago ungherese che invita alla «Velocità» e agli «Esercizi che servono a migliorare il fiato». Applicazione, unita a una tecnica fuori dal comune fecero del giovane Meazza un bomber da 31 gol in 33 partite in quella prima cavalcata tricolore di Weisz che poi sarebbe andato a fare le fortune del Bologna. Con lui i rossoblù divennero la squadra irresistibile che «tremare il mondo fa».
Due titoli di fila, dal 1935 al ’37, prima della “tragica sconfitta” che però avvenne fuori dal campo di gioco. Le oltraggiose leggi razziali del 1938 costrinsero Arpad e la sua famiglia, di religione ebraica, alla fuga.
L’ebreo errante e non più il grande stratega del football riparò a Parigi e da lì in Olanda con sua moglie Elena e i figli Roberto e Clara. Nei Paesi Bassi sembrava aver trovato il giusto riparo dalla follia nazista. Weisz con l’assist di una serenità apparente, trovò il tempo di dedicarsi ancora al calcio allenando la squadra di Dordrecht, il paese che ospitava la sua famiglia. Salvò il piccolo club dalla retrocessione, dando spettacolo e lezioni di calcio persino al blasonato Ajax. Ma lui e i suoi cari non riuscirono a salvarsi dalla deportazione. L’uomo che predicava in anticipo sui tempi la necessità del lavoro del «centromediano metodista» e della fuga sulle fasce da parte dei terzini, un giorno dell’ottobre del ’42 si sentì braccato. «Pazienza e rispetto», i dogmi di una vita faticarono a restare in piedi dopo che venne diviso dalla sua famiglia. Elena e i piccoli Roberto (12 anni) e Clara (8) vennero subito annientati nella camera a gas del campo di concentramento di Auschwitz.
Arpad venne spedito in un campo di lavoro nell’Alta Slesia. Poi Auschwitz, dove morì il 31 gennaio 1944 nelle stesse camere a gas dove erano spirati i suoi tre amori.
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