Un disastro. Non si può descrivere altrimenti la partita andata in scena a San Siro fra Inter e Sassuolo. La cosa più inquietante è che le sensazioni negative siano affiorate sin dai primissimi minuti, nei quali gli ospiti si sono resi ripetutamente pericolosi con la loro specialità: le ripartenze nello stretto, sfruttando la qualità che li caratterizza dalla metà campo in su. Per la prima volta, Simone Inzaghi ha sbagliato tutto. Sì, perché se in altre circostanze ci si poteva appellare alla sfortuna, agli errori individuali, al disallineamento fra prestazione e risultato, questa volta il ko è legittimo e – per come l’Inter ha (male) interpretato la gara – i gol subiti potevano essere anche di più.
La prova disputata contro i bravissimi ragazzi di Dionisi ha manifestato una fase difensiva horror: nei cinque minuti iniziali, il Sassuolo è ripartito sfruttando le praterie concesse dell’Inter per due volte, portandosi in vantaggio alla terza occasione concessa con Raspadori e l’ennesimo, gravissimo, imperdonabile e inconcepibile errore di Handanovic. Il portiere è ormai riconosciuto come un grande problema della squadra anche dai suoi più strenui difensori. Il centrocampo, nonostante sulla carta fosse in superiorità numerica (Gagliardini, Barella e Calhanoglu contro Frattesi e Lopez), è risultato completamente in balia degli avversari.
Certo, l’assenza di Brozovic è pesantissima, sarebbe innegabile dire il contrario. Ed è pur vero che le alternative nel reparto sono altamente insufficienti sotto tutti i punti di vista (e c’è chi vorrebbe competere per tre competizioni, con questa rosa…), ma l’enorme fatica di Barella da regista, di Calhanoglu ad entrare in partita, di Gagliardini perennemente a rincorrere gli avversari e costretto ad impostare (dunque a perdere palla), erano sotto gli occhi di tutti. Cambiare dopo ben 40 minuti è sembrato troppo tardivo, così come giocare come se ci fosse Brozovic, quando Brozovic non c’era, è risultato fortemente deleterio. L’approccio dell’Inter è stato pessimo a livello mentale, ma sarebbe miope non riconoscere come tatticamente la partita sia stata preparata male: Dionisi ha stravinto.
Se le iniziative dell’Inter nel primo tempo sono state innocue e annullate, l’improvvisato forcing del secondo tempo trasudava frenesia, improvvisazione, nervosismo. Caratteristiche che sono state ben condensate dagli attaccanti: a nulla è valsa la coesistenza fra Sanchez da trequartista dietro Lautaro e Dzeko. Il cileno ha giocato una partita orribile, sbagliando tutto il possibile, mentre il bosniaco si è reso protagonista di buoni spunti, difettando tuttavia di precisione sotto porta. Lacuna che caratterizza, ormai da due mesi, pure l’argentino: appare ormai chiaro come si tratti di un blocco psicologico per un giocatore che negli ultimi due anni ha fatto la differenza. Non si può dire altro nel momento in cui sbaglia pure a porta vuota, come accaduto ieri sul 2-0: si trattava di un gol che avrebbe potuto riaprire il match. Il Toro è più a terra che in piedi, fisicamente oltre che metaforicamente, ha perso brillantezza nel dribbling e pure la fiducia in se stesso.
I segnali c’erano. Ma li abbiamo ignorati
A novembre e dicembre siamo rimasti folgorati dalle prestazioni dell’Inter e dalla pioggia di reti che regolarmente si abbatteva sugli avversari. A gennaio abbiamo assistito ad un calo di forma fisica, di brillantezza: lo abbiamo ritenuto fisiologico, apprezzando la capacità dell’Inter di saper vincere anche soffrendo, anche sul filo del rasoio, esaltando la mentalità vincente acquisita. A febbraio eravamo consci del calendario disumano che l’asimmetria ci aveva riservato: la sconfitta del derby, durissima da digerire, è stata ritenuta quasi casuale, un incidente di percorso vista la prestazione. Poi il pareggio di Napoli, accolto tutto sommato con sollievo. Ma nel frattempo si stava consumando un calo netto ed è stato ingenuo ignorarlo, poiché oggi ci sentiamo tutti quanti sotto un camion. Soprattutto, ci siamo fatti forza – volgendo lo sguardo al futuro e a un calendario sulla carta più agevole – con lo score micidiale che l’Inter aveva totalizzato nelle sfide contro le squadre medie e piccole: 30 punti su 32, solo il pareggio di Genova con la Sampdoria a macchiare il percorso. Con il Sassuolo è venuta meno pure questa certezza.
I limiti di questa squadra sono usciti fuori secondo molti improvvisamente, ma in realtà gradualmente. Una rosa corta, dannatamente corta, non per quantità ma per qualità, specialmente nelle riserve di centrocampo: l’assenza di un titolare basta per stravolgere equilibri consolidati. Un portiere ormai inadeguato per questi livelli, che ha inanellato una serie di errori devastanti. Un attacco che fa tanta fatica, nonostante risulti ancora il migliore della Serie A grazie alle tante reti arrivate da esterni, centrocampisti, mezzali, che hanno attutito e celato i difetti strutturali del reparto offensivo. L’assortimento precario fra Lautaro e Dzeko, un Sanchez che alterna colpi di genio a partite estremamente negative come quella con il Sassuolo, un Correa desaparecido. E un Caicedo arrivato a gennaio, ma ancora non chiamato in causa. Dal mercato invernale non è arrivato nessun minuto in campo, mentre Sensi è stato ceduto (forse eccessivamente a cuor leggero?).
Il momento delle contromosse
Simone Inzaghi è chiamato a far fronte al primo, grande momento difficile della stagione. Chiamatela crisi, come vi pare: fatto sta che è il momento di rialzarsi. È soprattutto il momento in cui si determina il confine fra l’essere una squadra buona ed una squadra vincente. L’Inter dell’anno scorso lo ha fatto, esattamente in questo periodo, lanciando segnali forti in direzione titolo. Quelli che oggi stanno mancando. C’è un aspetto positivo: non è troppo tardi. I nerazzurri devono disputare altre 13 partite ed oggi, guardando la classifica, anche se scivolassero al terzo posto, avrebbero ancora il destino nelle proprie mani vincendo la partita da recuperare a Bologna.
Certo, per puntare alla vittoria finale Inzaghi dovrà trovare necessariamente delle contromosse. Per esempio nell’interpretazione delle gare: in alcuni casi bisogna anche adattarsi all’avversario, poiché è sinonimo di intelligenza, non di debolezza. Con il Sassuolo, giocare ostinatamente a viso aperto si è rivelato un suicidio, poiché si è prestato il fianco all’esaltazione dei pregi altrui. L’intervento più delicato del chirurgo Inzaghi, però, sarà quello da operare in attacco. Giriamoci intorno quanto ci pare, ma le speranze dell’Inter passano dal ritorno del vero Lautaro. Il nostro allenatore è stato attaccante a sua volta, sa come ci si sente. A lui la scelta, a lui i metodi: usare la carota o pungolare nell’orgoglio il suo numero 10. Così come tutta l’Inter, che adesso ha bisogno di una scossa. Se è il momento decisivo per determinare che tipo di squadra sia, è anche il momento in cui tutti capiremo se il nostro è un buon allenatore o un grande allenatore. Abbiamo ancora la possibilità di scrivere il nostro destino.
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