Eriksen: “Il malore? Ricordo tutto, tranne i minuti in cui sono andato in Paradiso”

Nel corso dell’intervista rilasciata ai canali ufficiali del Brentford, Christian Eriksen ha rivissuto i momenti drammatici del suo malore in campo durante la sfida tra Danimarca e Finlandia dell’ultimo Europeo: “Dopo quel trauma, non avrebbero dovuto giocare. Non sapevo cosa fosse successo, non mi ero reso conto. Quando mi sono risvegliato ho sentito che i medici premevano su di me, ho lottato per respirare, poi ho sentito le loro voci. Pensavo che non posso essere io quello sdraiato qui, sono in buona salute. Credevo di essermi rotto la schiena. Poi mi sono chiesto se potevo muovere le gambe e le dita dei piedi. Piccole cose del genere. Ricordo tutto, ma non quei minuti in cui ero in Paradiso. Quando mi sono svegliato dalla rianimazione, è stato come svegliarmi da un sogno, ero lontano. Non ricordo nulla di quando sono svenuto. Quando il nostro cardiologo ha detto che avevo 30 anni, l’ho corretto e gli ho detto: ‘Ehi, ho solo 29 anni!’. Ho ripreso conoscenza subito. Ricordo l’atmosfera. Il cordone protettivo dei miei compagni di squadra. Ho alzato lo sguardo e ho visto i tifosi cantare. Mi hanno portato via con l’ambulanza e fino a quel momento non mi sono reso conto di essere morto”.

Eriksen, inoltre, ha subito un intervento chirurgico per inserire un defibrillatore cardiaco sottocutaneo: “Un paio di giorni dopo, ho rivisto la scena in ospedale. Mi ha infastidito un po’; non c’erano segni che ciò sarebbe accaduto, quindi perché è successo? È stata una cosa molto strana da affrontare. Volevo fare tutti i test e parlare con tutti i medici per vedere se ci fosse la possibilità di tornare a giocare. Poi mi hanno detto ‘hai un defibrillatore, ma per il resto non è cambiato nulla, puoi continuare a vivere una vita normale e non ci sono limiti. Le persone possono correre maratone, fare immersioni profonde. È stato un sollievo, ma anche strano perché non volevo esagerare, non volevo correre rischi. Per questo motivo sto facendo molti test per assicurarmi che tutto vada bene. Quello che sto facendo ora non mi influenzerà tra 30 anni e quello era l’obiettivo principale. Se mi dicono che qualcosa è cambiato, allora sarà diverso. Non vedo alcun rischio”.

In quel periodo ha ricevuto la chiamata dell’allenatore del Brentford, Thomas Frank, che lo aveva conosciuto quando lo convocò nella nazionale under 17: “La prima volta è stata solo per salutarmi e chiedermi come stessi. Voleva sapere dove fossero i miei pensieri in termini di ritorno al calcio. È stata una buona telefonata e da lì la cosa è decollata. Abbiamo detto che ci saremmo tenuti in contatto per vedere cosa sarebbe successo. Ho parlato con Thomas alcune volte, la sensazione era buona. Londra è un buon posto per la mia famiglia. Sto giocando in Premier League. Il Brentford era il miglior mix; dall’esterno sembrava molto familiare e un buon posto di lavoro”.

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