Avete presente il momento in cui qualcuno vi risveglia in maniera brusca e maldestra dal momento clou del vostro sogno più bello, quello in cui il vostro desiderio inconfessato viene inevitabilmente a galla? Ecco, ci è successa la stessa cosa ieri sera, quando Alexis Sanchez è assurto al ruolo di guastafeste, nonostante – fino a quel momento – fosse stato uno dei protagonisti dell’esperienza onirica a tinte nerazzurre. Già, perché il cileno, grazie ai suoi movimenti fra le linee ed ai lampi di classe aveva contribuito ad incrinare le certezze difensive del Liverpool, insieme ad una squadra che ha messo piede ad Anfield senza paura, con l’atteggiamento sfacciato che tutti chiedevamo a questi ragazzi. El Nino Maravilla ha rovinato il sogno nerazzurro con una scivolata maldestra, nella quale ha condensato la trance agonistica immediata che aveva avvolto i giocatori dell’Inter dopo la magia di Lautaro, colpendo prima il pallone e poi la caviglia di Fabinho, rimediando così una doppia ammonizione che ha di fatto chiuso una porta che sembrava già socchiusa prima di cominciare.
Ciò non cancella quanto di buono l’Inter ha dimostrato a Liverpool, nella tana di una delle squadre più forti al mondo. Certo, in molti diranno che alla fine conta chi si qualifica, chi va a disputare i quarti di finale, e che i complimenti – senza il supporto del risultato – a volte danno più fastidio di una critica che segue la sconfitta. L’Inter ne ha ricevuti, di elogi, dopo il doppio ko contro il Real Madrid e anche dopo la sconfitta di San Siro all’andata contro i Reds. La cosa bizzarra è che, nella partita in cui ha potuto usufruire della fortuna mancata nei tre precedenti (vedi i legni colpiti dal Liverpool), l’Inter ha finalmente vinto un big match europeo.
Cosa resta?
Ma cosa resta, allora, di questa notte? Resta la vittoria ad Anfield, dove la squadra di Klopp non veniva sconfitta da un intero anno solare; resta la capacità di aver impaurito uno stadio intero, forse il più caldo d’Europa; resta, soprattutto, la convinzione che questa sia una squadra di uomini veri, che ieri ha sorpreso anche i suoi stessi tifosi. L’intensità, la voglia, la ferocia, la caparbietà: sono virtù che ti consentono di reggere il confronto con un top club. Resta uno Skriniar monumentale, un Bastoni che ha vinto il duello con Salah giocando a testa alta, senza paura, come gli si addice. Resta un Lautaro che certifica l’avvenuta “guarigione” dalla crisi con un meraviglioso destro all’angolino su cui Alisson non ha potuto nulla, un Brozovic che si è esaltato in una notte da leoni dettando spesso e volentieri legge a centrocampo e facilitando – come forse mai prima d’ora – le uscite a centrocampo pulite della squadra di Inzaghi, nonostante l’elevato tasso di difficoltà dettato dallo spessore degli avversari. Resta un Vidal che sì, ha fatto fatica nel mantenimento di ritmi così alti, ma ha lottato e salvato un gol che sembrava già fatto negli ultimi minuti, consentendo all’Inter di coltivare un briciolo di speranza per l’assalto finale, per l’ultimo calcio di punizione. Resta, in generale, un carico di autostima notevole e da non sperperare.
E poi c’è Simone Inzaghi. Il tecnico, ovviamente, non era stato esentato dalle critiche durante il febbraio nero vissuto dai nerazzurri, ma ieri sera ha preparato la partita come meglio non poteva, venendo ricompensato dai suoi ragazzi che hanno lasciato in campo tutto ciò che avevano, spostando in avanti la soglia dei propri limiti, lottando con una squadra superiore per qualità ed esperienza a questi livelli. Simone ci è andato vicino e, dopo la partita, si è rammaricato per l’immeritato risultato dell’andata, quello che ha deciso le sorti della qualificazione. Si è dovuto accontentare dei sinceri complimenti incassati da uno dei migliori allenatori al mondo, Jurgen Klopp, subito dopo il fischio finale e anche in conferenza stampa, quando il tedesco ha candidamente affermato: Per fortuna non giochiamo sempre contro l’Inter“. È stata un’altra prova di maturità per Inzaghi, di quelle che servono alla carriera di un allenatore, anche se rimane il dispiacere per non essere approdati ai quarti, visto che il divario – seppur esistente – si è dimostrato meno ampio del previsto. Probabilmente nel finale avrebbe potuto optare per un ultimo cambio più offensivo, inserendo Dzeko o Gosens al posto di Vecino, ma sono valutazioni che spettano all’allenatore sulla base della condizione fisica dei propri giocatori (Calhanoglu era stremato) che non ci sentiamo di condannare, il giorno dopo una vittoria ad Anfield.
Con questa ferocia, da qui alla fine
Può una squadra che è andata vicina a raggiungere i tempi supplementari contro il Liverpool rischiare di perdere un campionato contro chi è stato battuto a San Siro dagli stessi Reds, ma imbottiti di riserve? Beh, la classifica purtroppo ci dice che è possibile. Ma il valore di una serata del genere, propedeutica ad una crescita collettiva in termini di autostima ed esperienza, è capace di cambiare le carte in tavola e di rappresentare una svolta. L’Inter di ieri sera ha giocato con una ferocia che probabilmente nessuno di noi si aspettava. La variazione sul tema rispetto all’andata, però, dovrà essere totale: il match successivo alla Champions, in quel caso, fu uno dei peggiori stagionali dei nerazzurri, che incassarono una brutta sconfitta meritata contro il Sassuolo. Il cliente post-Europa, anche stavolta, non è esattamente dei più semplici: il Torino di Juric. Il gruppo di Inzaghi è atteso da una nuova battaglia, ma ora potrà fare tesoro dell’esperienza precedente e non incorrere in un calo di concentrazione che, a questo punto del campionato, potrebbe rivelarsi devastante. Il tempo per recuperare da un dispendio di energie così massiccio, d’altronde, esiste: cinque giorni.
D’ora in poi, i nerazzurri potranno concentrarsi solo sul campionato, almeno fino al 20 aprile (data del ritorno della semifinale di Coppa Italia). Ci sono tutte le possibilità fisiche e psicologiche per poter ripetere la prestazione di Anfield nelle ultime 11 giornate: siamo sicuri che basterebbe, per vincere questo Scudetto. L’Inter, d’altronde, è l’unica squadra a dipendere solo da se stessa, nella volata finale. E allora avventuriamoci in questa corsa, dopo una serata che ci ha reso fieri – una volta in più – di essere nerazzurri, con tutta la fiducia di questo mondo.
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