L’ANALISI – La partita dell’Inter è finita con i cambi di Inzaghi. Insieme alla nostra pazienza

Continuiamo ad attenderci una scossa, una svolta, qualcosa che stravolga la terribile inerzia che questa stagione ha assunto. Lo facciamo vanamente. Ci facciamo trascinare dalle illusioni, non ultima quella che – con una settimana finalmente a disposizione per preparare la partita – la squadra avrebbe cambiato registro e ricominciato a macinare punti come nei mesi più belli. E invece nulla di tutto questo. Ancora una volta.

L’aspetto che più fa riflettere ed induce allo sconforto è la capacità di prevedere, in settimana, quali potrebbero essere le criticità delle partite nerazzurre, giungendo puntualmente a vedere le previsioni confermate in campo. Tutti sapevano che l’Inter avrebbe faticato in costruzione, senza due cardini come De Vrij e Brozovic: nessuna contromisura è stata presa. E la Beneamata è apparsa, pure stavolta, in balia degli eventi. Il primo tempo è stato giocato meglio dalla Fiorentina, mentre nella ripresa i nerazzurri si sono appellati ancora una volta al cuore, alle avanzate caotiche e disorganizzate, andando meritatamente sotto ma poi riprendendo quasi subito la Viola. Ecco, sarebbe stato il caso di favorire il moto d’orgoglio dei campioni d’Italia (almeno quello…) anziché depotenziarne completamente e definitivamente la portata.

Già, perché se sull’1-1 i nerazzurri erano comunque riusciti a creare alcuni pericoli verso la porta avversaria, sospinti anche da un pubblico meraviglioso, la voglia è stata smorzata, tranciata al minuto 75. È il momento in cui Inzaghi, anziché aggiungere qualità all’attacco, ha deciso di sostituire i due cannonieri della stagione interista da 16 gol a testa per inserire altrettante seconde punte (o meglio, Sanchez ad oggi è praticamente un trequartista). Di fatto, dei cambi difensivi che hanno consentito alla Fiorentina di ritornare a respirare, prendere campo e sperare pure di espugnare San Siro. L’Inter, ovviamente, non ha più occupato l’area: Correa e Sanchez, d’altronde, hanno quelle caratteristiche. La cosa assurda, però, è che gli uomini di Inzaghi hanno continuato a giocare come se ci fossero ancora Dzeko e Lautaro, scegliendo spesso e volentieri il lancio lungo o il cross per i fantasmi. La scelta di inserire l’oggetto misterioso Caicedo solo per i minuti di recupero, optando per le tre punte solo negli sgoccioli finali e negli ultimissimi assalti, è apparsa inoltre beffarda: sicuramente fuori tempo massimo. Ben si coniuga, però, con una pessima gestione che ha fruttato 7 punti in 7 partite.

Ovviamente le responsabilità di questo scempio non vanno addossate soltanto a Inzaghi: partono dall’alto e risalgono all’estate. Non si può ignorare, però, uno score da zona retrocessione, un crollo verticale, una caduta libera e la scarsa (o nulla) capacità di reggere alle pressioni che un momento simile, alla guida di un club come l’Inter, evidentemente richiede. Non si può ignorare l’involuzione collettiva, compresi Barella e Lautaro. Non si può ignorare che questo campionato – probabilmente – lo vincerà il Milan. Brutto da digerire. Di certo, la nostra pazienza è finita.

Il pareggio con la Fiorentina, unito all’ennesima prestazione di squadra mediocre, ci dice che le speranze di Scudetto probabilmente si sono spente. La classifica adesso si fa pesante, ma soprattutto si fanno forti i segnali che questo non sia un gruppo da scudetto, per quello che sta dimostrando. Non merita di vincerlo. E, d’altronde, non si ricordano squadre che ce l’abbiano fatta dopo un crollo così fragoroso ed evidente. Mancano sei vittorie, circa, per la qualificazione Champions matematica. E c’è una semifinale di ritorno, in Coppa Italia, ancora da giocare. L’Inter si concentri su quello. Qualcuno, dall’alto, sarà comunque felice così.

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