L’ANALISI – L’Inter vince con le sue certezze. E questo Lautaro deve essere il manifesto del finale di stagione

Alla fine niente turnover. Niente prima da titolare per Gosens, niente Darmian, niente Dimarco, nessuna precauzione per i diffidati Bastoni e Perisic. Sì, c’è il doppio probante impegno con Milan e Roma alle porte, le partite sulla carta più complicate del finale di stagione nerazzurro, ma vincere ogni singola gara – in questo momento – è troppo importante. Non si può preservare nessuno, si possono solo scegliere gli uomini migliori per vincere: Simone Inzaghi ha fatto benissimo. E ha vinto. È il terzo successo consecutivo per l’Inter, al quale il Milan ha prontamente risposto contro il Genoa: la volata è bellissima, ancor più se con un nuovo derby – il quarto della stagione – alle porte. E questo, la Beneamata, deve necessariamente vincerlo: per la finale di Coppa Italia, ma anche per un potenziale segnale forte in vista dell’ultimo mese stagionale.

Torniamo, però, a La Spezia. Una partita preparata bene da entrambi gli allenatori, con una menzione speciale per Thiago Motta, che ha chiuso ottimamente gli spazi, ricorrendo al raddoppio sistematico e mettendo per larghi tratti di gara in difficoltà l’Inter, concedendo le fisiologiche praterie soltanto nel secondo tempo e in situazione di svantaggio. La squadra di Inzaghi ha stappato la gara, vincendola, grazie alle sue certezze: Brozovic e D’Ambrosio, in primis, che hanno confezionato la rete del vantaggio. Azione cominciata dallo stesso croato, che si è avvalso della sponda del numero 33 prima di sfoderare un sinistro (!) da campione sotto l’incrocio. Si tratta di due veterani, due che frequentano lo spogliatoio nerazzurro da 7-8 anni. Uno è il titolare per eccellenza di questa Inter, quello di cui non si può fare a meno; l’altro è il dodicesimo uomo che all’occorrenza fa pure il titolare. E lo fa alla grande, proprio come in questo periodo segnato dai continui acciacchi fisici di De Vrij.

Il resto lo hanno fatto altre certezze: Skriniar ha chiuso la saracinesca anche nel momento di massima difficoltà per l’Inter, ovvero i dieci minuti iniziali del secondo tempo, ergendosi nuovamente a baluardo della retroguardia; Perisic, diversamente rispetto al match col Verona, è partito in sordina, facendosi diesel e crescendo alla distanza; Barella è ritornato sul livello che gli compete, quello di centrocampista straripante in entrambe le fasi. Totale. E c’è però un’altra certezza che negli ultimi tempi è venuta un po’ meno, prendendosi una bella dose di critiche, ma sul cui valore tecnico sarebbe folle stare a disquisire. Indossa il numero dieci.

Tutti ci aspettavamo di vederlo titolare a formare la coppia argentina con Correa, ma Inzaghi ha sorpreso tutti pure in questo caso: dentro ancora il Tucu con Dzeko. I due non sono stati in grado di ripetere la prova da stropicciarsi gli occhi ammirata contro il Verona, ma non hanno neppure demeritato, specialmente l’argentino che si è rivelato uomo in grado di scardinare gli schemi difensivi avversari in più di un’occasione. Sì, tutto giusto, però l’ingresso di Lautaro è stato devastante: il Toro, già motivato di per sé dalle critiche, dalle voci di mercato sempre più insistenti, dall’obiettivo Scudetto, ha aggiunto un altro carica di rabbia (rigorosamente positiva, di quella che ti fa rendere ancor meglio sul campo) dalla panchina iniziale. È entrato in campo con grinta e furore, senza commettere l’errore di perdere in lucidità, anzi alzando il livello tecnico, aiutando la squadra e trovando pure un gol dal coefficiente di difficoltà davvero alto con un guizzo al volo, oltre all’assist per Sanchez che ha raffreddato i bollenti spiriti finali dello Spezia.

Le dichiarazioni rilasciate dopo la partita sono un vero e proprio manifesto. Non c’è spazio, adesso, per risentimenti e malumori: il Toro sa che avrebbe potuto far meglio (anche se ha comunque siglato i suoi 15 gol in campionato, 17 stagionali) e accetta la panchina, entrando in campo con la giusta mentalità, quella matura che piace a Inzaghi e all’Inter tutta. Questo Lautaro, che pone gli obiettivi di squadra sopra ogni personalismo, deve essere il simbolo del finale di stagione: simbolo dell’atteggiamento che deve pervadere ogni angolo di Appiano Gentile. Perché nel prossimo mese, nonostante l’ennesimo sovraccarico di impegni, l’Inter sarà chiamata a vincerle tutte. Magari non succederà, magari non sarà neppure necessario, ma quella deve essere la strada. Con quali uomini e con quali scelte, conta poco. Anzi, niente.

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