150mila cuori nerazzurri hanno spinto i ragazzi di Simone Inzaghi verso la finale di Coppa Italia prima e verso un passo decisivo nella corsa al titolo poi. Sono stati quattro giorni di Interismo puro, genuino: quattro giorni che condensano la passione di questo popolo e che si concretizzano in una vera e propria bolgia che forse, con la Roma ancor più che con il Milan, ha guidato la squadra ad uno sfavillante 3-1. Risultato prezioso in primis per la lotta punto a punto ingaggiata con i rossoneri e con il Napoli, ma anche perché ottenuto contro una squadra che non perdeva dal 9 gennaio scorso e che ha potuto semplicemente arrendersi alla superiorità dell’avversario.
L’Inter si è dimostrata nuovamente matura. Per due ordini di motivi: il primo è rintracciabile nella capacità di reggere la pressione che cresce in maniera inversamente proporzionale alle giornate che mancano alla fine del torneo. Il secondo è che la squadra di Inzaghi ha reso più semplice di quello che fosse l’impegno contro una Roma che, come detto, arrivava a San Siro piena di fiducia, a seguito di un ottimo momento sul piano della forma e dei risultati. Per i 30 minuti iniziali è stata una partita molto bloccata e tattica, preparata benissimo da entrambi gli allenatori, nei quali i campioni d’Italia hanno anche rischiato sensibilmente di andare in svantaggio sul colpo di testa di Mancini. Poi, però, in dieci giri d’orologio, l’Inter è riuscita a segnare due gol che rappresentano un manifesto della filosofia di Simone Inzaghi. Capacità pazzesca di sfruttare la profondità con enorme qualità. Quello di Dumfries dopo cinque tocchi di prima, quello di Perisic aperto dal lancio di Dimarco e chiuso da una prodezza di Brozovic. La capocciata del Toro, poi, ha indirizzato in maniera definitiva la partita, tramutandola in pura accademia almeno fino al gol di Mkhitaryan (brutta disattenzione in marcatura di Gagliardini). Poi, nel finale, ancora maturi nella gestione del possesso ed eccoli qui, altri tre punti, che valgono il quarto successo consecutivo in campionato, quinto se consideriamo la Coppa Italia.
Il clima di San Siro è stato ovviamente reso ancor più frizzante, come se non bastasse uno Scudetto da giocarsi punto su punto, ovviamente dalla presenza di José Mourinho, per la prima volta ospite in un Meazza al 100% della capienza. Il tecnico portoghese, dopo aver giustamente profuso ogni sforzo per vincere la partita, è stato ineccepibile nell’analisi post-gara, attribuendo i meriti all’Inter e ribadendo l’esistenza di un legame che rimarrà, per sempre, indissolubile: “Amo l’Inter e l’Inter ama me, ma oggi volevo vincere. Adesso, però, non devo più affrontare Inter, Milan, Napoli e Juventus: adesso posso dire che spero che l’Inter vinca lo Scudetto“. Meraviglioso.
Adesso i nerazzurri avranno pochissimo tempo per riposare: mercoledì, infatti, si disputerà finalmente quella che è stata per distacco la partita più citata nelle cronache giornalistiche degli ultimi tre mesi. Sì, sarà tempo di rimuovere quel fastidioso asterisco dalla classifica della Serie A, di eliminare il fastidioso avverbio “potenzialmente” dai nostri discorsi, sarà l’occasione per farlo nel modo che il popolo nerazzurro sogna: con il sorpasso. Siamo dunque giunti alla partita della verità, nel mese della verità: da qui al 22 maggio sapremo chi siamo. Ma l’Inter vista ieri, per supremazia, tranquillità, consapevolezza, ci invita a vivere questo finale palpitante pieni di fiducia.
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