La serata tragica del Dall’Ara ha riassunto al meglio la stagione interista, condensandone le criticità e i difetti caratteriali prima che tecnici. Bologna ha raccontato di una squadra che sa essere dominante e che si esalta nel momento in cui raccoglie ciò che merita, esattamente com’era successo all’andata e in diverse altre occasioni. Quando l’inerzia gira in favore dell’Inter, la squadra di Inzaghi diventa devastante, le trame offensive si fanno spettacolari, le sicurezze si rinforzano e arrivano le vittorie, anche straripanti. Lo raccontano le migliori partite stagionali, per citare le più recenti proprio quelle contro Milan e Roma: doppio vantaggio nel primo tempo, partita in discesa, spettacolo offerto ai tifosi nerazzurri.
Poi, però, c’è un confine molto sottile tra essere una buona squadra e vincere. Quel confine è tracciato dalla capacità di essere più forti delle batoste inaspettate, dei gol subiti quando non lo meriti, degli episodi avversi: in poche parole, di rispondere agli “imprevisti”. L’Inter ha sempre dato l’impressione, in questa stagione, di offrire il suo meglio solo quando tutto va come dovrebbe. Una scarsa tenuta mentale, una fragilità che è ben raccontata dalla sconfitta nel derby con il Milan e dalla vittoria contro la Juventus allo Stadium: nel primo caso i nerazzurri – come raccontato più e più volte – meritavano la vittoria e hanno perso. Può capitare, se non fosse che la squadra di Inzaghi ci ha messo due mesi, caratterizzati da 7 punti in 7 partite (!), per riprendersi dallo shock. E poi, come per magia, arriva una vittoria immeritata, costruita – per una volta – sul sacrificio collettivo e anche su un andamento favorevole, per riprendersi e infilare quattro vittorie consecutive sulle ali dell’entusiasmo. Quattro partite, appunto, nelle quali tutto è andato come la squadra meritava, per mole di gioco creata. Ma non si può pensare di raccogliere sempre ciò che si merita, altrimenti l’Inter ieri – a Bologna – dopo 25 minuti sarebbe stata avanti 0-3. Sono due momenti che raccontano di una squadra troppo esposta agli eventi, umorale, volubile, scarsa mentalmente.
Molti risultati negativi in stagione sono stati caratterizzati da momenti di blackout totale. Pensiamo alla prima sconfitta in campionato contro la Lazio: ottima Inter per 60 minuti, poi arriva il gol del pareggio e con esso il panico, il nervosismo che naturalmente conduce alla sconfitta. Ieri, a più di sei mesi di distanza da quel giorno, non è cambiato poi troppo: il gol di Arnautovic ha mandato letteralmente al manicomio i ragazzi di Inzaghi, diventati da quel momento irriconoscibili rispetto ai primi 25 minuti interpretati da grandissima squadra. Lo stesso allenatore, d’altronde, lo ha ammesso: “I giocatori si sono innervositi perché non hanno trovato il raddoppio nei primi minuti“. Come se fosse normale. No, non è normale, non è abbastanza per essere vincenti. L’aspetto che più di tutti sorprende (in negativo) è che la maggior parte di questo gruppo, solo un anno fa, vinceva un campionato dopo averlo dominato con la giusta dose di maturità, umiltà e consapevolezza. Dov’è finito lo spirito creato in due anni?