L’ANALISI STAGIONALE – Inter, perché non hai vinto lo Scudetto? Cinque possibili cause. Da cosa ripartire l’anno prossimo

La stagione 2021-22 è andata in archivio con il momento di simbiosi totale fra calciatori e tifosi nerazzurri al termine di Inter-Sampdoria, partita che ha decretato il secondo posto finale per la squadra di Simone Inzaghi. Viste le premesse estive – ormai lo abbiamo ribadito in tutte le salse – le due coppe vinte, la qualificazione alla fase ad eliminazione diretta in Champions League e gli 84 punti finali non possono costituire un percorso negativo. Tuttavia, è inutile prenderci in giro: lo Scudetto perso brucia e brucerà, a maggior ragione se a febbraio il margine sul Milan era parecchio consistente e la percezione era quella di avere qualcosa in più rispetto ai rossoneri. Andiamo quindi ad individuare cinque possibili motivi per cui l’Inter non si è riconfermata campione d’Italia.

Le cause del secondo posto

1) IL MERCATO – Sembrerà banale, ma è impossibile non partire dalla situazione paradossale vissuta la scorsa estate. Un attivo record nella storia del calcio, per di più da campioni d’Italia in carica e con un clima di smobilitazione creato subito dopo il trionfo, resta qualcosa di indelebile e che ha condizionato inevitabilmente la stagione nerazzurra. Tuttavia, Inzaghi e il suo staff sono stati bravissimi ad attutire il colpo e, dopo un’iniziale fase di assestamento, da novembre a gennaio l’Inter è apparsa inarrestabile. Come se pochi mesi prima non fosse accaduto niente. Addirittura qualcuno si è spinto a parlare di “squadra più forte”, o quanto meno “più completa”. Fesserie, nulla di tutto questo. Se incassi per 180 e investi per 40, il ridimensionamento è naturale, fisiologico, ovvio. E prima o poi lo pagherai. Se Calhanoglu ha disputato comunque un’ottima stagione condensata da numeri importanti (8 gol e 13 assist), Dumfries (seppur con 5 gol e 7 assist) non è mai stato devastante come Hakimi (ed era pure ingiusto chiederglielo): giocatori di livello differente, come dimostrano le quotazioni di mercato (uno 70, l’altro 15). L’addio del totem Lukaku, inizialmente attutito da un ottimo rendimento di Dzeko, alla lunga si è fatto fatalmente sentire. I 36 anni del bosniaco, d’altronde, rappresentavano un dato troppo pesante per essere ignorato e per non pensare che andasse incontro a un calo fisico, puntualmente verificatosi nella seconda parte di stagione. I soli 30 milioni messi a disposizione dalla società per sostituire Lukaku, inoltre, potevano sicuramente essere investiti meglio rispetto a quanto fatto con Correa, che fra un infortunio e l’altro ha messo insieme soltanto 6 gol, per giunta distribuiti su tre partite con altrettante doppiette.

2) IL TRIPLO IMPEGNO: ROSA NON ADEGUATA – Dal mercato discendono inevitabilmente le enormi difficoltà riscontrate dall’Inter nei mesi di gennaio, febbraio e marzo. Esattamente il momento in cui il triplo impegno (quadruplo, con la Supercoppa) si è manifestato in tutto il suo dispendio fisico e mentale e servivano forze fresche per sopperire all’inevitabile logorio dei titolarissimi. La nota dolente è soprattutto legata alle riserve di centrocampo: per un motivo o per l’altro, fra inadeguatezza e fase discendente delle carriere, i vari Vecino, Vidal e Gagliardini non hanno mai rappresentato alternative credibili. E così Barella è andato incontro ad un vistoso calo, mentre le partite senza Brozovic si sono rivelate un vero calvario. È vero che il triplo impegno porta via punti a chiunque, ma i ricambi all’altezza avrebbero potuto mitigare il depauperamento di un vantaggio consistente in classifica. Le decisioni prese sul mercato di gennaio, in questo senso, non sono state particolarmente illuminate: ceduto Sensi, si è deciso di investire sul ricambio di Perisic e su una quinta punta. Scelte che sul presente hanno influito poco, anzi niente.

3) SCELTE DI INZAGHI – Giusto ribadire che il tecnico nerazzurro si è svezzato quest’anno in una big, barcamenandosi nelle pressioni che questo incarico comporta, lottando per la prima volta (a parte i pochi mesi pre-Covid alla Lazio) per lo Scudetto. Se Inzaghi era stato quasi impeccabile nel girone d’andata, il trend troppo spesso manifestatosi nella sua carriera è stato confermato: vistoso calo nel girone di ritorno (46 punti all’andata, 38 al ritorno) . Abbiamo segnalato il problema dei ricambi, ma 7 punti in 7 partite sono un bottino davvero esiguo per chi vuole puntare a vincere. Tutti si aspettavano un calo, ma non di quelle dimensioni. Probabilmente avrebbe potuto toccare corde psicologiche differenti nei suoi giocatori o individuare soluzioni tecniche alternative, in particolare durante l’assenza di Brozovic, quando si è intestardito nel provare in regia giocatori fuori ruolo come Vecino, Barella e Calhanoglu. L’insistenza su Dzeko sempre in campo e titolarissimo nel momento nero, con Lautaro sistematicamente sostituito dopo un’ora, rimane qualcosa difficile da spiegarsi. Così come l’ossessione sugli ammoniti, costata cara nel derby di ritorno.

4) TENUTA PSICOLOGICA: QUANTI CROLLI! – Se c’era una prerogativa dell’Inter di Conte, era la solidità mentale e la capacità di far fronte alle avversità. Quest’anno i nerazzurri l’hanno un po’ dispersa peccando spesso di frenesia, supponenza, crolli emotivi. Troppe volte la squadra di Inzaghi ha alternato fasi iniziali di grande calcio (concretizzando meno del dovuto) a finali tragici. È successo contro la Lazio ad ottobre quando dopo l’1-1 i nerazzurri furono divorati dal nervosismo e persero malamente 3-1. È successo nella partita crocevia di questo campionato, ovvero il derby di ritorno, quando il dominio tecnico non è stato proporzionato ai gol fatti e l’Inter ha tenuto in vita l’avversario peccando di arroganza, andando poi incontro allo psicodramma di cinque minuti che è probabilmente costato il campionato. È successo nel recupero decisivo a Bologna, quando dopo 25 minuti davvero convincenti è bastato il gol di Arnautovic a mandare in tilt i meccanismi nerazzurri.

5) ERRORI INDIVIDUALI – Dopo aver elencato tutti i difetti strutturali e i possibili errori gestionali di Inzaghi, occorre però sottolineare che di fronte a clamorose défaillances individuali si può fare poco. Basta citarne due, relativi agli altrettanti momenti esiziali nella stagione nerazzurra. La più clamorosa, lo avrete già capito, è quella di Radu a Bologna. Ma non ci si può limitare a quello né fare del portiere romeno il capro espiatorio della stagione, poiché l’Inter in Emilia stava giocando davvero male. La seconda è quella in compartecipazione firmata da De Vrij e Handanovic (tante le sue incertezze nel corso della stagione) sul secondo gol di Giroud nel derby: l’olandese lo fa girare goffamente, lo sloveno interviene ancor più goffamente su un tiro non irresistibile.

Da dove ripartire per vincere?

Dall’abitudine alla vittoria, da non disperdere. È vero, l’Inter non ha vinto il campionato ma, dopo un’estate di lacrime e sangue, ha comunque portato a casa due titoli e continuare ad alzare trofei fa sempre bene al processo di crescita di ogni gruppo. Le altre risposte si possono ricavare dalle criticità fin qui evidenziate. Il prossimo anno servirà una rosa più completa se l’Inter vorrà continuare a competere in tutti i tornei; servirà la capacità e l’umiltà di Inzaghi di comprendere gli errori e trarne una lezione in vista del secondo anno sulla panchina nerazzurra; servirà essere più forti mentalmente e saper resistere alle avversità, gestire gli imprevisti che in una partita e in una stagione possono capitare sempre e comunque; servirà più lucidità nelle scelte individuali.

Ogni discorso sul prossimo anno, tuttavia, non può essere indipendente dal mercato in arrivo e dalla programmazione della proprietà. Se l’Inter dovesse mantenere l’ossatura e quindi i cosiddetti big (Bastoni, Skriniar, Brozovic, Barella, Lautaro) aggiungendo alcune necessarie pedine, allora si potrà guardare con ottimismo alla nuova stagione. Se, in caso contrario, il gruppo Suning dovesse decidere di continuare nell’opera di disinvestimento e smobilitazione, chiedendo un altro miracolo a Marotta e Ausilio, allora gli obiettivi dovranno essere rivisti. Questa stagione ci ha insegnato che i miracoli possono esistere, sì, ma solo parziali, come accaduto all’Inter fino a febbraio. Adesso serve programmazione, visione, ambizione: quella che un anno fa, sul mercato, non si è assolutamente vista. Inzaghi, ieri, ha affermato che “le cose vanno fatte bene, l’auspicio è mantenere tutti i migliori“. Impossibile dargli torto, da tifosi. Ma la proprietà sarà d’accordo?

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