Dopo tre stagioni insieme, l’Inter e Alexis Sanchez sono ormai in procinto di separarsi. Le ultime settimane sono state caratterizzate dall’ironia creatasi attorno alla figura del cileno, considerato dagli stessi tifosi nerazzurri quasi come una sanguisuga, come qualcuno che non vuole perdere il “posto fisso” piovuto dal cielo quasi miracolosamente. Ma accomunare Sanchez a figure quali Gabigol, Joao Mario, Dalbert, Nainggolan e tutti gli sciagurati acquisti di questo tipo non rende merito né alla storia del giocatore, né al contributo da lui stesso offerto alla causa della Beneamata.
Sono due le critiche che più di altre sono state mosse al giocatore. E non sono del tutto campate in aria, visto che rappresentano le motivazioni dalle quali è nata l’esigenza di separarsi. Una è quella relativa all’ingaggio da ben 7 milioni netti: una cifra pattuita nell’estate del 2019 (dunque pre-Covid) quando il cileno arrivò in prestito dal Manchester United e riconfermata nel 2020 (pre-crisi Suning, scoppiata agli inizi del 2021), quando diventò definitivamente un giocatore dell’Inter. Una cifra troppo elevata per gli attuali standard imposti dalla proprietà per una riserva d’attacco.
L’altra è invece ascrivibile alla ben nota allergia alla panchina: si ricordano vari episodi nei quali il giocatore ha polemizzato implicitamente sui social, tra foto di Ferrari parcheggiate, leoni in gabbia e dichiarazioni sopra le righe, come quelle rilasciate subito dopo la Supercoppa quando, dopo essersi autoproclamato “campione”, si lamentò di fatto per lo scarso minutaggio. Quest’anno non sarebbe andata diversamente, anzi, c’è stato pure il ritorno di Lukaku. Per questo separarsi è una scelta giusta.
Fatta la necessaria premessa, la narrazione secondo la quale Sanchez sia stato un flop in maglia nerazzurra dal quale bisognava soltanto liberarsi è francamente campata in aria e figlia di un preconcetto nei suoi confronti. Chissà, magari l’alto ingaggio non ha contribuito a renderlo simpatico agli occhi di alcuni tifosi. Ma questi ultimi, probabilmente, non conoscono la storia del giocatore. Il Nino Maravilla è stato straripante con la maglia dell’Udinese, fino a diventare uno degli attaccanti migliori al mondo con la maglia di Barcellona prima (Messi amava giocare con lui, non è da tutti…) e Arsenal poi. Un percorso così virtuoso da arrivare al Manchester United – nel gennaio 2018 – con un ingaggio da ben 20 milioni netti all’anno. Cifre da top assoluto.
L’esperienza ai Red Devils non andò come previsto. E d’altronde l’Old Trafford, negli ultimi anni, ne ha bruciati tanti di ottimi giocatori: se il contesto di squadra non è adeguato, è difficile esprimersi al meglio. Poi certo, ad incidere furono anche i primi segnali di declino fisico da parte del giocatore, questo è indubbio. Ma fu apprezzabile, nell’estate del 2019, la sua voglia di mettersi in gioco rispondendo alla chiamata di Conte per approdare all’Inter in prestito con un ingaggio più che dimezzato. Avrebbe potuto rimanere al Manchester United con il suo ingaggio stellare, se fosse stato una sanguisuga. E invece no, rieccolo in Italia, laddove tutto è cominciato, con una voglia matta di fare la differenza.
E anche in nerazzurro, a dispetto dei detrattori, Sanchez ha sempre dimostrato indubbia classe, risultando nettamente il giocatore con più qualità in tutta la rosa. La voglia non gli è mai mancata, fino a sfociare in foga eccessiva: gli è capitato alla prima presenza in nerazzurro nel settembre 2019 contro la Sampdoria (gol ed espulsione), così come a Liverpool in Champions League nello scorso marzo, quando dopo un’ottima prova rimediò ancora una volta un ingenuo cartellino rosso decisivo per estromettere l’Inter dalla competizione.
Ma gli indubbi nei non devono spingere a dimenticare il suo contributo e anche la professionalità. Come quando, nei quarti di finale di Europa League 2020, giocò diversi minuti da infortunato pur di contribuire alla difesa del vantaggio e alla qualificazione in semifinale. Fu un po’ il triste emblema della sua stagione, pesantemente condizionata dall’intervento killer di Cuadrado che in un Colombia-Cile gli procurò un grave infortunio al tendine peroneo a causa del quale saltò diversi mesi della sua prima annata in nerazzurro. Saranno 32 le presenze stagionali, con 4 gol e 10 assist.
L’anno dello Scudetto, invece, di gettoni ne mise assieme 38 (con 7 gol e 8 assist), risultando determinante in partite chiave nella cavalcata tricolore. Pensiamo alla rimonta contro il Torino (da 0-2 a 4-2) quando fu trascinatore con un gol e un assist, alla partita spartiacque di Reggio Emilia contro il Sassuolo nel novembre 2020 con un’altra rete, al grande contributo nella serie di vittorie consecutive collezionata dall’Inter di Conte nella primavera 2021 che condusse dritta dritta allo Scudetto numero 19, fra cui un’importantissima doppietta a Parma per piazzare un allungo decisivo sul Milan. Insomma, Sanchez dimostrò già allora di rinvigorirsi appena annusava l’odore del sangue, ovvero dei titoli.
Una caratteristica che ha mantenuto anche nella sua ultima stagione in nerazzurro (39 presenze, 9 gol e 5 assist). Pensiamo alle reti utili contro Spezia ed Empoli utili all’Inter per rimanere in corsa Scudetto fino all’ultima giornata, ma soprattutto alle zampate nelle coppe. Un gol all’ultimo minuto dei tempi supplementari in una finale contro la Juventus no, non è da tutti. Ma c’è pure lo stacco di testa contro l’Empoli negli ottavi di Coppa Italia e il capolavoro contro la Roma ai quarti che spedì l’Inter in semifinale di un’altra coppa vinta.
Insomma, Sanchez all’Inter non ha probabilmente giustificato l’ingaggio elevato, ma i flop sono altri. Sarebbe ora di liberarsi di questo preconcetto e di rendere merito ad un giocatore eccezionale arrivato in nerazzurro troppo tardi, quando il meglio era stato già dato. Il paragone non può essere quello con i “bidoni”, bensì con gente come Veron: come il Nino Maravilla, la Brujita sbarcò a Milano quando il suo prime era ormai tramontato ma come Sanchez fece vedere giocate di classe a San Siro, decidendo – pure lui – una Supercoppa contro la Juventus. D’altronde, i campioni sono così. Grazie, Alexis.