Erano trascorsi 83 giorni da quell’ultima, struggente giornata di campionato caratterizzata dalla comunione di spiriti fra i calciatori e il popolo nerazzurro dopo uno Scudetto svanito per due punti. Nel mezzo sono successe diverse cose: è tornato Lukaku, sono arrivati altri quattro giocatori e no, lo spauracchio della grossa cessione non si è per ora concretizzato (ed è quel “per ora” che spaventa visibilmente Inzaghi e, in generale, tutti coloro che rispettano la storia dell’Inter). Il tecnico piacentino ha dovuto inevitabilmente apportare delle variazioni allo stile di gioco adottato nella scorsa stagione, oltre a calibrare una preparazione fisica che, per forza di cose (e in particolar modo per una squadra fisica come quella nerazzurra), non dà spazio a brillantezza fisica prematura.
Diversi giocatori erano appesantiti: prove sotto tono per Gosens, Brozovic e Calhanoglu, ma anche la Lu-La appare lontana dal suo potenziale, nonostante rimanga il punto di riferimento assoluto per questa squadra. Ciononostante, il primo quarto d’ora era stato ben condotto dagli uomini di Simone Inzaghi, con la partita incanalatasi sui binari giusti fin dal gol lampo del Lukaku II, che segna ancora all’esordio e ancora contro il Lecce, ma stavolta a campi invertiti rispetto al 2019. Poi qualche occasione sciupata, alcune scelte sbagliate, come in occasione della confusione fra Barella e Gosens in contropiede. E allora i salentini, che erano partiti contratti manifestando l’incapacità di adattarsi immediatamente ai ritmi e alle dinamiche della categoria superiore, sono riusciti a prendere coraggio, spezzettando la gara e rientrando al suo interno abbassandone i ritmi. L’Inter ha subito un gol evitabilissimo e banale, entrando in confusione e rischiando anche di andare sotto quando il Via del Mare spingeva forte: bravo Handanovic in due occasioni.
Poi i nerazzurri hanno ripreso in mano la gara, schiacciando gli avversari nella propria metà campo anche e soprattutto grazie ai messaggi lanciati da Inzaghi con i cambi: il tecnico piacentino ha dimostrato coraggio e quel pizzico di sana spregiudicatezza chiudendo addirittura con un 4-2-4 nel quale, dietro a tutte le punte della rosa, c’era addirittura Mkhitaryan vicino a Barella. Trazione offensiva è dir poco. Il gol di Dumfries è stato tutto sommato meritato nonostante ci sia tantissimo da migliorare, ma chiedere il calcio champagne unito alle vittorie, il 13 di agosto, sarebbe esercizio sterile e infantile. Vanno benissimo i tre punti, pur mantenendo la consapevolezza e l’esigenza di implementare diverse dinamiche di gioco: basta e avanza così, per l’esordio in un Gran Premio che finirà a giugno e che già al primo giro ci ha costretti a fare il pieno di emozioni. In pieno stile Inter.
Il paradosso dell’Inter favorita per lo Scudetto
Oltre alla condizione fisica e agli aspetti tattici, infatti, c’è pure un mercato che, vuoi o non vuoi, incide. Eccome se incide. Incide e innervosisce l’allenatore, figuriamoci gli ipotetici giocatori coinvolti come Skriniar, uscito dal campo visibilmente e insolitamente contrariato. Le richieste e i malumori di Inzaghi sono sacrosanti, quando dopo la partita gli viene chiesto del mercato. In primis perché ogni allenatore al mondo malsopporta la coincidenza di calcio giocato e calciomercato, ma anche perché l’Inter resta l’unica big per la quale si parla di una cessione importante, nel momento in cui le altre si rinforzano. Ha ragione Inzaghi, eccome se ha ragione, quando evidenzia la discrasia fra questo aspetto e la scelta di piazzare i nerazzurri come favoriti al titolo. L’Inter favorita non ha senso di esistere, visto che i campioni sono altri e non hanno ceduto i giocatori migliori, com’è normale che sia per chi porta il tricolore sul petto (vero, Zhang?). E non ha senso ignorare una squadra che sta conducendo un mercato faraonico a suon di Pogba, Di Maria, Bremer, Kostic, Paredes, Depay e chi più ne ha, più ne metta.
L’Inter favorita è un paradosso troppo grande per non pensare che a qualcuno faccia comodo così, per metterle un’immotivata pressione addosso e sperare di divertirsi dopo. Noi ci limitiamo a stare con Inzaghi, perché in questo senso stare con Inzaghi significa stare con l’Inter: dopo l’estate drammatica di un anno fa, chi vuole bene all’Inter non merita altri colpi bassi di mercato, specialmente a campionato già iniziato. Sarebbe troppo grave, sarebbe un attentato a un progetto tecnico, alle nostre emozioni, alla nostra fiducia (41mila abbonati a San Siro, record italiano), alla nostra Storia.
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