Il Milan ha vinto con la testa, prima che con i gol di Leao e Giroud. Proprio come nella scorsa stagione, i rossoneri hanno dimostrato miglior tenuta psicologica (e non di poco) rispetto ai nerazzurri, manifestando un divario sul campo probabilmente esagerato se teniamo conto delle due rose. Perché c’è stata una squadra superiore all’altra in tutto. La compagine di Pioli è diventata più forte di quella di Inzaghi, lo è diventata a suon di prestazioni, ma non così tanto come ha dimostrato il derby perso male e giocato peggio.
Il Milan ha vinto mentalmente perché, fino al pareggio di Leao, la partita era stata molto tattica ed equilibrata, senza che emergesse un predominio da una parte o dall’altra. Per l’ennesima volta, però, è bastato un imprevisto alla squadra di Inzaghi per deprimersi, spaventarsi, evaporare: un vero e proprio crollo psicologico. Dalla rete del portoghese provocata dall’erroraccio di Calhanoglu (forte nei “blablabla” sui social e ai microfoni, meno in campo) fino al lampo di Dzeko, il Milan ha letteralmente devastato, annientato l’Inter sotto tutti i punti di vista, dimostrando di avere più organizzazione, voglia, ferocia, furore e rabbia: caratteristiche sconosciute al gruppo nerazzurro. Eppure, se c’era una squadra a dover essere legittimamente arrabbiata era proprio l’Inter, dopo la sconfitta immeritata nel derby di ritorno l’anno scorso, dopo uno Scudetto perso per due punti, dopo i festeggiamenti all’insegna degli sfottò contro club, giocatori e allenatore. E d’altronde le dichiarazioni dei giocatori – sempre più bravi con le parole e sempre meno con i fatti – non facevano che puntare sul tema della “rivincita”.
In balia degli eventi
Nulla di tutto questo. Non c’era neppure la voglia, di prendersi una rivincita. Uno scenario francamente avvilente. Perdere un derby ci sta, ma farlo in questo modo, venendo annichiliti per gran parte della partita, è qualcosa che non ci aspettavamo e che non possiamo minimamente accettare. È esattamente quel periodo di gara che Inzaghi ha definito “blackout“. Altro che blackout, i blackout durano pochino: quello spettacolo deprimente è stato il canovaccio principale del pomeriggio nerazzurro. E Inzaghi, in quella lunghissima fase di gara, ha assistito al massacro in balia degli eventi, da spettatore passivo. Il Milan spadroneggiava, l’Inter si innervosiva e si sfilacciava: il tecnico piacentino non è stato in grado di trovare alcuna contromossa tattica su un collega che, ancora una volta, ha fatto meglio di lui. Ed era trascorsa solo una settimana dall’altra lezione, impartitagli quella volta da Sarri.
Ma c’è dell’altro. Dobbiamo raccontare anche di una piccola impresa dell’Inter. I nerazzurri, infatti, dopo aver messo in scena uno spettacolo horror nella seconda metà del primo tempo, sono rientrati negli spogliatoi frastornati ma con un dettaglio non irrilevante che poteva giocare a proprio favore: il risultato era ancora sull’1-1. In un mare di cose negative, ecco una piccola fortuna. Mourinho aveva espresso un concetto simile ai giocatori della sua Roma all’intervallo, dopo una brutta prima frazione contro la Juventus: “Mi sono vergognato di essere il vostro allenatore, ma siamo ancora sotto 1-0: è una giornata fortunata. Cercate di sfruttare questa fortuna“.
Inzaghi avrebbe potuto e dovuto agire in maniera analoga (non uguale, perché di Mourinho ce n’è uno e, con tutto il rispetto per il piacentino, il paragone è impietoso). Non ci è dato sapere se lo abbia fatto, ma a giudicare dai risultati crediamo quanto meno che non abbia toccato le corde giuste, né tatticamente né – soprattutto – psicologicamente. L’impresa dell’Inter è stata quella di rientrare in campo peggio di come ne era uscita. Difficilissimo, sul serio.
Una reazione…non incoraggiante
Come va interpretata la reazione nerazzurra dopo il gol di Dzeko, entrato alla grande e capace di dare la scossa? Sappiamo di certo che ha salvato le apparenze e sappiamo altrettanto certamente che non ha cambiato nulla in termini di punti. Ciò che è più interessante (e forse preoccupante), però, è che i nerazzurri abbiano dato vita a una nuova metamorfosi. L’ennesima riprova che il problema, quello principe, è di tenuta psicologica. Basta un’iniezione di coraggio e di autostima a questa squadra per rinvigorirsi, come quando incoraggi un bambino. Ma allora, esattamente, se l’Inter è completamente in balia degli eventi, se sono gli episodi a determinare l’andamento delle partite, cosa trasmette l’allenatore? Permetteteci di vivere, quindi, la risposta emotiva dopo la rete di Dzeko come un elemento ancor più beffardo piuttosto che incoraggiante.
Un confronto sempre più impietoso
Abbiamo aperto dicendo che il Milan è stato superiore in tutto e lo confermiamo. A livello collettivo, prima che individuale. Ma se c’è un ruolo in cui questa superiorità è stata tanto manifesta quanto imbarazzante (per l’Inter, ovviamente), è il portiere. Il famoso derby di ritorno dello scorso anno sancì, se ce ne fosse mai stato il bisogno, il predominio di Maignan su Handanovic: il portiere rossonero tenne in vita i rossoneri durante la situazione di svantaggio, mentre quello nerazzurro contribuì largamente e attivamente alla rimonta milanista.
Per rispettare le tradizioni, il capitano dell’Inter ha pensato di subire pure questa volta due gol evitabili, non parando il parabile, ovvero il gol del pareggio di Leao e quello del vantaggio di Giroud. E invece, dall’altra parte (scusateci il nuovo gioco di parole in arrivo…), Maignan ha parato ciò che per Handanovic sarebbe stato imparabile, salvando il risultato e mettendo la firma su una nuova vittoria del Milan con un grandioso intervento sul possibile 3-3 di Calhanoglu, oltre a una serie di uscite alte coraggiose (uscite alte? Cosa sono? Non lo ricordiamo più!) con le quali ha blindato il risultato.
E allora, in questi casi, c’è solo una cosa da fare per uscirne dignitosamente: i complimenti all’avversario. Quest’anno, esattamente come l’anno scorso, è stato più bravo, più voglioso, più affamato. Esattamente quello che era l’Inter dello Scudetto. Di quella squadra sembra rimasto davvero poco, sia sul piano caratteriale che su quello dell’identità di gioco. Non era facile neppure questo, nel giro di 15 mesi. Un’altra piccola, amara impresa.
Serve una svolta, serve urgentemente.
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