L’ANALISI – Progetto al capolinea. Così è una lenta agonia…


Commentare l’Inter è diventato stancante. Sì, perché come tutte le cose monotone, alla fine stanca. E questa Inter è tristemente monotona, deprimente, avvilente. Due settimane di pausa non sono servite, com’era ampiamente prevedibile, ad invertire la rotta. Perché prevedibile? Perché non è cambiato assolutamente niente nella gestione e nella filosofia che la orienta. La follia nella scelta del portiere persiste senza soluzione di continuità, così come la testardaggine nell’insistere su una coppia d’attacco che, da più di un anno, non ha mai trovato l’intesa e mai la troverà. Nessuna variazione d’assetto ma, cosa ben più importante, nessuna svolta a livello mentale.

Potremmo parlare di una mezzora ben giocata e in effetti l’Inter, pur senza far nulla di trascendentale, ha meritato il vantaggio. Il problema è che è troppo facile infliggerle il primo colpo, anzi, basta quello per averne ragione. L’assist per il tracollo è arrivato ancora una volta dal “capitano” Handanovic che, nonostante dichiari a petto infuori di essere “la soluzione” e non uno dei principali problemi di questa squadra, ha permesso alla Roma di pareggiare. Da lì in poi, blackout. Il solito triste spettacolo, come contro Milan e Udinese: raggiunti e sorpassati in scioltezza, con gli avversari che camminano sulle macerie di quello che dell’Inter rimane (poco).

Le dichiarazioni di Inzaghi, poi, sono sempre più surreali e spesso controproducenti per la salvaguardia del suo stesso operato. Surreali, come quando afferma “il nostro portiere non ha fatto parate e abbiamo perso“. Già, peccato che quelle parate fossero ampiamente alla portata e che, se fossero arrivate, magari non staremmo commentando la quarta sconfitta in otto gare di campionato (peggior partenza dai tempi di De Boer). Ma l’assurdo è lampante se pensiamo al fatto che è stato lui e soltanto lui ad aver deciso – già nel mese di luglio – che fosse Handanovic il portiere titolare, ufficialmente “per la grande stagione che ha disputato” (???). Controproducenti, perché quando Inzaghi afferma “è la miglior partita della nostra stagione” si fa un clamoroso autogol. Era la decima gara stagionale: se questa è la migliore, figuriamoci le altre nove! Dovremmo apprezzarne allora l’onestà; peccato si tratti dello stesso allenatore che, nella conferenza della vigilia, ha dichiarato spavaldo “la mia storia parla: dove alleno io aumentano i ricavi, si dimezzano le perdite e arrivano i trofei” (!!!). E allora, semplicemente, queste parole sono la fedele rappresentazione di un tecnico completamente in balìa degli eventi.

I risultati sono un disastro, ma è il modo in cui sono arrivati ad essere ancor più preoccupante. Le sconfitte sono tutte meritate e lo sappiamo bene, nonostante Inzaghi si ostini a parlare teneramente di “episodi”, ma anche le vittorie parlano chiaro. L’Inter ha vinto contro Lecce e Torino all’ultimo secondo (contro i granata il pareggio sarebbe stato giusto), gli unici successi in scioltezza sono arrivati contro Cremonese e Spezia. Non crediamo serva dire altro, sui risultati e sulle prestazioni sportive. Ciò che servirebbe, semmai, è un discorso più ad ampio raggio che inglobi l’intero progetto avviato nel 2019 e giunto chiaramente al suo termine.

Al capolinea

A quei tempi c’era una proprietà in fase espansiva, che scelse un amministratore delegato forte come Marotta e un allenatore ancora più forte come Conte, regalando alla piazza nerazzurra un mercato importante, con un gruppo plasmato, forgiato e reso vincente sotto la guida del tecnico salentino in due anni. Ebbene, le differenze con la fase attuale sono ciclopiche: c’è una proprietà che ha messo in vendita il club e attende che qualcuno si faccia avanti accontentando una richiesta economica folle; ci sono dei dirigenti le cui idee sul mercato sono direttamente proporzionali alla voglia di investire di Suning (zero, meno di zero); c’è un allenatore che ha perso il controllo sulla squadra e, di conseguenza, c’è un gruppo sfilacciato che avverte il clima di precarietà e mediocrità generale. Insomma, l’impressione (forse la certezza) è quello di un progetto al capolinea che potrà risollevarsi, ripartendo da zero o quasi, soltanto con un cambio di proprietà che ci auguriamo possa avvenire in tempi rapidi.

Fino a quel momento, però, l’Inter ha l’obbligo di non far vivere ai suoi tifosi una lenta agonia. Non lo merita la tifoseria più appassionata d’Italia, non lo merita chi allo stadio fa regolarmente registrare il record di presenze. Non arriverà lo Scudetto, questo lo abbiamo capito (triste dirlo ad ottobre, ma tant’é…), ma la dignità no, quella non la possiamo proprio perdere. Ecco, il primo passo sarebbe quello di fare delle scelte che premino il merito, gli allenamenti, che mirino al campo e ai risultati sportivi, non a preservare i rapporti con alcuni pezzi importanti dello spogliatoio. Sì alle scelte sportive, no alle scelte politiche. L’Inter ha l’obbligo di mantenere la sua integrità e i suoi valori. Con o senza Inzaghi.

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