Otto giorni di passione, tensione, di nervi tesissimi saltati a Barcellona. Da quelle parti non perdono il vizio e, proprio come successo 12 anni fa, sono andate in scena le stesse dinamiche: sceneggiate ridicole e lamentele incessanti sull’arbitraggio da parte di chi dichiara di elevarsi, con aria ipocrita, al di sopra di queste polemiche ma lo fa solo quando vince. Nel momento in cui le cose si mettono male, invece, via ad illazioni, teorie dei complotti all’interno di una strategia mirata per mettere pressioni sull’arbitro designato, che ieri poteva espellere Dembelé per un’entrata brutta su Darmian oltre a concedere rigore all’Inter per un fallo di mano di Piqué.
Sì, “peccato” che al Barça non sia servito neppure questo per avere ragione di un’Inter eroica, granitica ma soprattutto tanto coraggiosa. Molti si aspettavano una partita in trincea da parte della squadra di Inzaghi, un catenaccio che sì, non ci vergogniamo di dire che a San Siro nel secondo tempo sia stato applicato, ma ieri no. Certo, ci sono stati momenti di apnea e sofferenza, come quello che ha fatto da premessa al gol di Dembelé che sembrava aver indirizzato la direzione dei tre punti. Ma l’Inter, almeno l’Inter di Champions, non molla mai e come se niente fosse l’ha ribaltata, prima di venire agganciata e segnare di nuovo, facendosi riprendere e difendendo un pareggio che mai come questa volta ha sapore di vittoria. I nerazzurri adesso sono davvero a un passo dall’impresa, poiché di impresa trattasi quando ti ritrovi nel girone più difficile della competizione contro due giganti del calcio europeo come Bayern e Barcellona. Ma nulla è scontato: la squadra di Inzaghi si è messa in una posizione comoda e lo ha fatto per meriti propri, ma il Viktoria Plzen non si batte da solo.
L’Inter ha dimostrato coraggio e lo ha manifestato con l’atteggiamento sul campo ma anche con le scelte del suo allenatore, Simone Inzaghi. Due punte a disposizione, due punte in campo nonostante l’assenza di ricambi in panchina; nel secondo tempo, niente D’Ambrosio e Gagliardini, più difensivi rispetto a Bellanova (buttato nella mischia in un tempio del calcio come il Camp Nou senza paura) e Asllani. Il tecnico nerazzurro ha avuto anche la lucidità di leggere la partita in corso: nella seconda metà della ripresa, ha capito quanto il Barça fosse inoffensivo per vie centrali e che i pericoli potessero arrivare dalle trame esterne, con i vari Dembelé, Raphinha, Fati. E allora ecco il passaggio a un 5-4-1 imbottito di esterni con Dumfries, Darmian, Bellanova e Gosens contemporaneamente in campo a sostenere l’unica punta Lautaro. Emblematico come, dopo pochi minuti dal riassestamento tattico operato da Inzaghi, sia stato inquadrato Xavi mentre esclamava “attaccate sulle fasce!“: è il simbolo di una vittoria tattica doppia del tecnico nerazzurro su quello blaugrana, poiché fa seguito a quella di San Siro. Xavi non ci ha capito nulla.
La squadra nerazzurra, inoltre, ha avuto le occasioni migliori nel primo tempo: la traversa di Dzeko e il successivo liscio di De Vrij a porta vuota, prima della grande occasione di Dumfries. L’Inter sapeva che avrebbe dovuto capitalizzare al meglio le occasioni capitategli in un catino infernale come il Camp Nou, ed è per questo che ha accusato il colpo schiacciandosi troppo e subendo la rete di Dembelé, chiudendo il primo tempo in apnea. Andare negli spogliatoi sotto 1-0, dopo aver giocato un ottimo primo tempo, avrebbe scalfito le convinzioni di tanti. E invece l’Inter gioca una ripresa straordinaria, mettendo sotto a più riprese un Barcellona disorientato e terrorizzato dall’eliminazione in Champions League. E lo fa, ovviamente, trascinata dai suoi giocatori migliori. Avrebbe potuto anche vincerla, anzi la vittoria era alla portata, con un po’ di freddezza in più sotto porta. Asllani ne sa qualcosa, ma gli servirà per crescere. Bellissimi gli abbracci di D’Ambrosio e Dzeko a fine partita, quasi a proteggerlo dall’ira (giustificata) di alcuni compagni per il mancato passaggio a Mkhitaryan sul 3-3.
Quando il livello è così alto, bisogna per forza di cose affidarsi a coloro i quali, a questi livelli, ci possono stare eccome. Se nel primo tempo avevano lasciato parecchio a desiderare, ecco una ripresa pazzesca di Barella e leggendaria, sinceramente leggendaria, di Lautaro. La prestazione del primo è andata oltre il gol del pareggio, perché qui c’è un dominio del centrocampo che non può limitarsi ad una rete, per quanto importante. Ah, ricordiamoci dell’assist: un lancio perfetto, con i giri e i tempi giusti, da parte di Bastoni, altro gioiello messo troppo spesso in discussione. Partita perfetta in fase difensiva anche per lui, coadiuvato da uno Skriniar nuovamente in versione deluxe. E poi il Toro, che Toro. Alla faccia di chi dice che quando la palla scotta lui sparisce, gol meraviglioso da punta top ma soprattutto enorme lavoro per la squadra, quello che non ha mai fatto mancare neppure nelle ultime partite, quando però l’astinenza da gol influiva sui giudizi. Anche qui, non possiamo esimerci da un encomio a chi gli ha fornito l’assist: Calhanoglu. Altra partita enorme del turco che, sia all’andata che al ritorno, da regista è stato dominatore del centrocampo prodigandosi in difesa e rimanendo lucido in attacco. E, a proposito di assist, altra perla del Toro, questa volta per un Gosens che chissà, dopo 10 mesi difficili, magari può ricominciare proprio da un gol di importanza enorme al Camp Nou.
Dopo un inizio di stagione tormentato, insomma, l’Inter sembra aver ritrovato la strada: qualcosa è scattato proprio nella partita d’andata con il Barcellona, nella quale i nerazzurri hanno cambiato spartito diventando più umili ma al contempo non rinunciando, come dimostrato ieri, alla pericolosità offensiva e al coraggio. Inzaghi ieri ha detto: “Il Barcellona in tutta la Liga ha vinto sempre e pareggiato una volta, adesso si ricorderanno di questo nome: Inter!“. Giustissimo, Simone. Ma l’impressione è che, se riuscirà a riconfermarsi a questi livelli, anche all’Inter rimarrà impresso un nome: Barcellona. Per ricordare quando è cominciata una nuova storia.