È successo veramente di tutto, nella notte di Firenze. L’Inter ci è arrivata consapevole di non poter perdere altri punti, visto il ritardo colpevolmente accumulato nelle giornate precedenti e le vittorie di Juventus e Milan contro avversari modesti quali Empoli e Monza. La partita dei nerazzurri era molto più complicata (la classifica mente sul valore dei viola), in uno stadio difficile che quando vede l’Inter si infiamma vorticosamente molto più che con i presunti (dagli affari di mercato non si direbbe…) acerrimi rivali bianconeri. Non ci si aspettava che la squadra di Inzaghi potesse fare quattro gol come Juventus e Milan, ma neppure che ne subisse ben tre. E quando vinci 4-3, i segnali da trarre sono così ampi da costringerci a discernere fra quelli positivi e quelli negativi.
Bisogna subito chiarire un punto: non è con prestazioni come quelle di Firenze, per quanto emozionanti ed esaltanti, che l’Inter può ambire a vincere titoli. Ancora una volta, la squadra di Inzaghi ha dimostrato di essere fin troppo esposta agli eventi ed incline a farsi trascinare dall’onda emotiva che ne consegue. Era partita benissimo, poi è arrivato l’imprevisto incarnato nella clamorosa ingenuità di Dimarco che, di fatto, ha dato avvio ad una nuova gara. A proposito: sono tanti, tantissimi, troppi i gol (in questo caso un fallo da rigore) che l’Inter ha concesso con la stessa dinamica di gioco, ovvero cross dalla sinistra e inserimento di un avversario. Felipe Anderson con la Lazio, Dybala con la Roma, Frattesi con il Sassuolo, adesso Bonaventura: urge intervenire perché è inconcepibile soffrire sempre sulla stessa situazione.
In ogni caso, dal gol del 2-1 su rigore l’Inter si è fatta trascinare in una partita che non era la sua, in un clima da corrida e di spezzettamento continuo del gioco fino all’intervallo. Nel secondo tempo, a differenza della prima frazione, ha avuto un brutto approccio e la sensazione di tutti era che il 2-2 della Fiorentina sarebbe arrivato. Poi la reazione nerazzurra, pensi di aver dato il colpo del ko con il 3-2 ma niente, il sentore è sempre quello: il 3-3 arriverà. I messaggi arrivati dalla panchina hanno rincarato negativamente la dose: l’ingresso di Bellanova per Lautaro ha abbassato ulteriormente il baricentro dell’Inter con il cambio modulo da 3-5-2 a 5-4-1, che però – imbottito di esterni com’era – assomigliava più a un 6-3-1. E allora eccolo, il gol della Fiorentina: la difesa nerazzurra ha fatto resuscitare pure Jovic, protagonista di un brutto impatto con il mondo viola e in generale della Serie A. Siamo a quota 17 gol subiti in 11 giornate di campionato: l’Inter è la quarta peggior difesa del campionato. E siamo a 14 reti incassate in trasferta: qui la squadra di Inzaghi è quella messa peggio in tutto il campionato italiano. Così non si vincono titoli, poco ma sicuro.
E allo stesso modo, l’Inter non può coltivare ambizioni importanti senza il ritorno di Lukaku (prima o poi succederà, forse), se Correa è questo. Benintesi: il Tucu si è mosso anche bene in alcune situazioni chiave, come sul gol del 2-0 di Lautaro, aprendo uno spazio prezioso al compagno portandosi via il difensore. Ma dall’argentino ci si aspetta di più, è pleonastico anche ribadirlo: non ha mai fatto della tempra e dell’aggressività le sue doti peculiari a differenza del Toro, ma la qualità in questo giocatore c’è, deve necessariamente tirarla fuori, almeno quella. E non ci siamo dimenticati di Dzeko, ma il bosniaco a marzo compirà 37 anni e non sarebbe giusto aggrapparsi a lui da titolare. Ma da subentrato sì, che bellezza!
No, non abbiamo sbagliato a citare l’emotività sotto due voci opposte. L’Inter ieri è stata fortemente emotiva fino a dare segni di squilibrio, ma è sicuramente da apprezzare la voglia e la rabbia con le quali i nerazzurri sono andati a cercare il gol del vantaggio, per ben due volte. Dopo l’ottimo approccio e il crollo successivo, infatti, sul 2-2 la squadra di Inzaghi – aiutata dall’ingresso di un immenso Dzeko – ha mostrato i muscoli andando a prendersi il rigore del 3-2. Ma ciò che ha destato ancor più stupore (in positivo) è stato il moto d’orgoglio con il quale si è presa il 4-3 a dieci secondi dalla fine. Subire il gol del pareggio al 90′, oltre che secondo aggancio nella storia della partita, è una mazzata: l’Inter è stata più forte ed ha sfruttato egregiamente i minuti di recupero per vincerla, dimostrandosi capace di trasformarsi nel giro di pochi giri di lancette. Se fino a un minuto prima era eccessivamente schiacciata all’indietro, dopo si è riversata in avanti come un tornado ed è stata premiata dalla fortuna sulla dinamica del quarto gol, che però – sottolineiamolo – non è propriamente casuale. Mkhitaryan, nonostante i 33 anni, è in grado pure all’ultimo secondo di partita di inserirsi alla grande e farsi trovare pronto: lo ha fatto a Barcellona quando Asllani non gliel’ha passata, lo ha rifatto a Firenze venendo questa volta premiato dal rimpallo.
Insomma: male le montagne russe psicologiche, bene la voglia di farcela nonostante tutto. L’Inter ha spesso dato l’idea, durante la partita, di non vincerla ma al tempo stesso non ha mai dato l’impressione di perderla. Gli assedi verso la porta avversaria con il risultato in parità valgono un encomio alla mentalità, all’interno di un contesto comunque problematico sotto i punti di vista elencati nel paragrafo precedente.
Se la difesa sanguina, la controparte brilla: quello di Inzaghi è al momento il terzo miglior attacco della Serie A (ma molte squadre devono giocare oggi) con 22 gol segnati in 11 partite, dietro a Napoli e Milan. Molto passa, inevitabilmente, dai sue campioni spesso nell’occhio del ciclone ed esposti a critiche: Lautaro e Barella. C’è poco da fare, sono sempre i top player quelli che ti cambiano le partite e le stagioni, quelli che incidono nei momenti di difficoltà e che garantiscono continuità in quelli positivi. La partita del Toro è ancora una volta totale nella sua grandezza, ma per apprezzare questo giocatore bisogna andare oltre la doppietta di Firenze e in generale, molto spesso, oltre i gol. È per questo che le critiche nei suoi confronti arrivate anche quest’anno sono perlopiù ingiustificate, perché non ci si rende conto dell’immenso lavoro garantito alla squadra anche nei momenti più difficili, anche nelle quattro sconfitte in campionato. Barella, invece, che aveva fatto spazientire molti con i suoi atteggiamenti di nervosismo, è adesso molto più sereno: viaggia spedito verso il record di gol in carriera (è già a quota 5 fra Serie A e Champions) ma soprattutto si è ripreso la squadra, è di nuovo il leader del centrocampo, mantiene la lucidità sotto porta e in fase difensiva, tanto nei gol quanto negli assist. Totale, pure lui: totale.
A proposito di campioni, non ci si può esimere dal citare Edin Dzeko. Certo, l’età è quella che è, ma quando entra nel secondo tempo, con le difese avversarie inevitabilmente in calo per via della stanchezza, si rivela semplicemente devastante (fu così anche nel derby con il Milan). E non è un caso che, anche quando impiegato titolare, risulti molto più incisivo nella ripresa. Insomma, Dzeko nel secondo tempo è un lusso e ieri ha dato un contributo eccezionale ai tre punti nerazzurri, con l’assist a Lautaro sul fallo da rigore e con quello a Barella decisivo per il 4-3 e per la terza vittoria consecutiva dell’Inter, obbligata a rincorrere disperatamente le prime della classe.