Non è con il Viktoria Plzen che l’Inter ha meravigliato. A San Siro, accompagnata dalla consueta meravigliosa cornice di pubblico, la squadra di Inzaghi ha semplicemente completato un percorso, arrivando a destinazione dopo una piacevolissima discesa. L’Everest, semmai, era stato scalato in precedenza. E voi direte: non esageriamo, l’Inter è pur sempre l’Inter, non si tratta di una piccolo club che manda a casa il grande Barcellona. Vero, assolutamente. Ma sono le circostanze con le quali i nerazzurri sono riusciti a raggiungere il primo, grande obiettivo stagionale a disegnare tutti i contorni dell’impresa.
L’Inter ha perso la prima partita contro una squadra con la quale perdono praticamente tutti; ha vinto la seconda e la quinta contro una squadra che perde con tutti. Nel mezzo, però, ha ottenuto due risultati straordinari nelle partite che – come da pronostici della vigilia – sono state la chiave per la qualificazione. L’Inter ha passato il girone nel momento in cui, dopo un avvio disastroso in campionato e con un clima di assedio generale (anche giustificato, viste le prestazioni mediocri e i risultati scadenti) verso giocatori e allenatore, con quest’ultimo messo seriamente in discussione all’inizio del mese, si è rialzata coniugando meravigliosamente forza, orgoglio, rabbia e umiltà. Non sappiamo e probabilmente non sapremo mai cosa si siano effettivamente detti, in quel confronto ad Appiano Gentile, ma è in quei giorni che l’Inter ha messo le basi per farcela: il cambio di mentalità e di atteggiamento collettivo è stato nitido e i risultati, in questo caso, sono un premio naturale.
L’Inter non solo ce l’ha fatta nel momento più difficile della stagione, ma ha dovuto fronteggiare anche due assenze sulla carta devastanti per la rosa di Inzaghi: il fulcro del gioco indispensabile l’anno scorso e l’uragano d’attacco tornato per riprendersi quanto aveva frettolosamente lasciato, dunque Marcelo Brozovic e Romelu Lukaku. Il tecnico dell’Inter, nelle settimane più dure della sua carriera, ha inventato Calhanoglu regista, sostenuto Lautaro quando non segnava, goduto di un Barella strepitoso e ottimizzato i benefici derivanti dallo switch mentale della squadra.
Il 4-0 al Viktoria Plzen è stato solo una conseguenza. Parliamo di un successo arrivato in scioltezza, seppur dopo i primi 20 minuti in cui la squadra è apparsa tesa e contratta, sciogliendosi però con la forza della qualità e delle trame di gioco, trascinata da un Dimarco straripante, da un Mkhitaryan sempre più decisivo e da uno Dzeko che – quando la palla scotta – non tradisce. Il gol fulmineo di Lukaku, subito dopo il ritorno in campo, è solo un cerchio che si chiude. L’Inter ce l’ha fatta senza Romelu, ma di Romelu ha inevitabilmente bisogno per il prosieguo della stagione. I ragazzi di Inzaghi, però, adesso possono contare su un carico di autostima quasi inaspettato: non può essere altrimenti quando ti qualifichi nel girone più difficile della Champions, quello in cui praticamente tutti ti davano per spacciato nel giorno del sorteggio ad agosto, nel momento più difficile della stagione e della carriera di molti, senza due uomini fondamentali ed eliminando chi ha potenzialità economiche molto più elevate delle tue. Sì, cara Inter, è stata un’impresa. E ne siamo fieri.
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