Non sappiamo dove arriverà questa Inter, non sappiamo se solleverà trofei a fine stagione e neppure se a giugno i tifosi potranno dirsi soddisfatti dell’annata appena trascorsa. Quello che sappiamo è che l’atteggiamento visto contro il Napoli è quello che serve storicamente per vincere, e in particolare quando indossi la gloriosa maglia della Beneamata. Niente ricerca dell’evanescente bellezza estetica, niente spazi regalati agli avversari con disposizioni spregiudicate in difesa come troppo spesso accaduto in questa stagione: solo tanta praticità che si combina all’umiltà e significa vittoria.
Attenzione, non intendiamo dire che l’Inter abbia fatto catenaccio e si sia chiusa in difesa. Tutt’altro. Le occasioni migliori le ha avute la squadra di Simone Inzaghi, che solo nel primo tempo è andata almeno quattro volte vicinissima al gol: con Dimarco innescato da un gran cross di Lukaku, con Darmian servito splendidamente da Dzeko di prima, con Big Rom davanti a Meret costretto però a calciare col destro che non è il suo piede, ancora con Dimarco che probabilmente era in posizione regolare e ha sparato addosso al portiere azzurro. E allora eccoli i fantasmi già visti in Juventus-Inter, quando i nerazzurri avevano fallito numerose occasioni e nel secondo tempo erano stati puniti dai bianconeri. All’intervallo era questa, la principale paura: seminare tanto e raccogliere niente. E invece no, perché è arrivata la poderosa capocciata di Dzeko confezionata dalla raffinata qualità di Mkhitaryan e Dimarco. Da quel momento in poi, l’Inter ha mantenuto l’attitudine che l’aveva caratterizzata nel resto della partita, consapevole però di godere di un gol di vantaggio e lasciando, ancor di più, il possesso agli avversari. Un possesso, però, reso sterile per tutta la partita. È questo il principale merito di Inzaghi.
Da battaglia
Contrasti, scivolate, concentrazione costante e inscalfibile: l’Inter ha vinto la partita principalmente così, traducendo sul campo le enormi motivazioni della vigilia. Inzaghi l’ha preparata alla grande, vincendo nettamente il confronto con Spalletti: ha indovinato la disposizione tattica e la transizione fra le due fasi, abbinando a un blocco basso la capacità di ripartire sempre con tanti uomini al momento giusto, facendo male agli avversari; ha azzeccato le scelte di formazione e pure i cambi in corsa.
Darmian, preferito a Dumfries, ha disputato una grandissima prova limitando insieme a un magistrale Skriniar (il rinnovo è sempre più lontano, ma in campo adesso si vede poco) lo spauracchio Kvara, così come Bastoni ha stravinto contro Politano. Certo, l’esterno ha sbagliato un gol relativamente facile, ma quello è perdonabile, quando giochi una partita difensivamente perfetta e fai sempre le scelte giuste in attacco, accompagnando i compagni e ripiegando quando è necessario. E poi merita una menziona a parte Francesco Acerbi. Ma che partita ha giocato? Il suo avversario diretto era il capocannoniere della Serie A, l’attaccante (al momento) più forte del campionato: non si è visto. Erano tanti i timori anche fra i tifosi nerazzurri nell’approcciarsi al confronto che appariva squilibrato anche in termini di età: 24 anni il nigeriano, 35 l’italiano. E invece l’esperienza ha battuto lo strapotere atletico. Acerbi continua a zittire chi ne ha messo in dubbio la professionalità, chi osteggiava il suo arrivo all’Inter: lo fa a suon di coperture, anticipi, grinta.
L’atteggiamento collettivo, in ogni caso, è stato votato al sacrificio e alla voglia di mettere il bene comune davanti ad ogni altra cosa. Lukaku e Dzeko hanno dato vita a qualche scambio interessante, non troppi, ma entrambi si sono messi a totale disposizione della squadra, anche portando la prima linea di pressing su Lobotka come sicuramente richiesto da Inzaghi. Barella è stato fra i migliori in campo, Mkhitaryan è cresciuto soprattutto nel secondo tempo ed è ormai diventato una mezzala con i fiocchi nonostante in carriera abbia occupato spesso posizioni più avanzate, mentre Calhanoglu ha brillato più in copertura che in costruzione: il suo intervento a favorire la presa di Onana contro Osimhen è il simbolo di una squadra da battaglia, insieme probabilmente al placcaggio di Dumfries su Elmas. Gli è costato il cartellino giallo, ma ha evitato una transizione pericolosissima per il Napoli.
Un atteggiamento che non si era visto per esempio allo Stadium, quando Barella non aveva commesso fallo sulla ripartenza juventina per non essere ammonito. La vittoria, il bene comune, deve essere anteposto ad ogni calcolo. Soffrendo quando è necessario, abbassandosi quando la gara e l’avversario lo richiedono, lottando sempre. Sono questi gli ingredienti che hanno caratterizzato i nerazzurri, per esempio, nel girone di ritorno l’anno dello Scudetto. Non può essere un caso. La gara di ieri ha ricordato in più tratti Inter-Barcellona, quando i nerazzurri però avevano creato meno occasioni da gol. Diciamo che è stata la versione deluxe di quella partita, con lo stesso risultato e la stessa (potenziale) importanza: quella è valsa il passaggio agli ottavi di Champions, questa riconsegna all’Inter una speranza. Quella di crederci ancora. Testa a Monza.
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