Vittoria con il Napoli, pareggio a Monza. Vittoria nel derby di Supercoppa, sconfitta con l’Empoli. Vittoria nel derby di campionato, pareggio a Genova. Non si può più parlare di casualità, si tratta di un pattern consolidato per questa Inter, che ieri è riuscita a perdere due punti anche contro una Sampdoria in dissesto, tra classifica disperata e situazione societaria ai limiti del tragico.
I nerazzurri hanno ribaltato quanto visto nella prima parte di stagione: se contro le piccole non sbagliava praticamente mai e cadeva puntualmente al cospetto delle grandi, adesso fa il contrario. Il problema è che nessuna delle due strade porta a una squadra vincente, e tutte e due sono invece amiche della discontinuità. Gareggiare contro questo Napoli da record sarebbe stato difficile per chiunque, ma diciamoci anche la verità: le altre squadre stanno facendo molto peggio del previsto. 15 punti dalla capolista – per un gruppo che un anno e mezzo fa era campione d’Italia – sarebbero un’onta difficile da cancellare a fine campionato, figuriamoci a febbraio.
Presuntuosi e nervosi
L’aspetto più preoccupante è che ieri, a Genova, non si è trattato di una di quelle partite in cui succede di tutto e di più ma non riesci a far gol. L’Inter non ha preso pali, traverse, non si è infranta contro i ripetuti miracoli del portiere avversario. Ha calciato tante volte verso la porta avversaria, questo sì, ma con mira mediocre e soprattutto palesando – fin dal primo minuto – un atteggiamento tracotante, come se la vittoria dovesse piovere lì dal cielo, per diritto. Lo stesso film visto a Monza e con l’Empoli, e a poco serviva in quei casi recriminare per il gol annullato ad Acerbi o per l’espulsione di Skriniar: era guardare il dito e non la luna, era soffermarsi sul dettaglio di una partita e non cogliere il problema strutturale.
E così poi succede che la presunzione diventi parente stretta del nervosismo, quando le cose non vanno come vorresti, quando non riesci a far gol subito. Prova ne è il battibecco plateale fra Lukaku e Barella, due che non stavano facendo una cattiva partita ma che hanno tradito un atteggiamento inadeguato per una squadra che dovrebbe ambire ai traguardi più prestigiosi. È sinonimo di una forza mentale inesistente, se misurata sulla continuità di risultati. E su questo l’allenatore ha inevitabilmente delle responsabilità.
Questione di motivazioni
Spieghiamoci. Se questa squadra fosse banalmente “scarsa”, non avrebbe battuto il Barcellona a San Siro, non avrebbe sfiorato la vittoria al Camp Nou eliminando la capolista della Liga, non avrebbe battuto due volte l’Atalanta, non avrebbe inflitto la prima (e fin qui unica) sconfitta al Napoli, non avrebbe vinto due derby in 20 giorni. Si badi: non c’è – in questo discorso – la pretesa di dover vincere lo Scudetto, ma quella di intraprendere un cammino continuo e soprattutto di chiamare in causa le motivazioni.
Le partite di Champions League o i big match in campionato sono quelli in cui i giocatori hanno in automatico motivazioni alle stelle, e non abbiamo avuto reticenze a riconoscere i meriti a Inzaghi nella preparazione delle cosiddette “partite secche”. Tuttavia, la bravura di un allenatore non può misurarsi solo in quel contesto. La bravura di un allenatore, specialmente in una grande squadra, sta nell’infondere ai suoi giocatori la stessa ferocia anche in un anonimo lunedì sera invernale, anche quando la capolista è lontanissima e c’è soltanto da guardarsi indietro. L’Inter ha sprecato un’occasione, ancora una volta: poteva allungare sulle inseguitrici, scavare quel piccolo solco che potrebbe rivelarsi fondamentale, considerando che adesso si ricomincerà a giocare ogni tre giorni con le due partite (minimo) di Champions e le due partite (minimo) di Coppa Italia. E c’è il rischio di perdere altri punti in campionato, perché quando ci sono le coppe di mezzo spesso va così ed è in qualche misura fisiologico che accada.
L’impressione, ieri come in tante altre occasioni, era che non ci fosse il giusto livello di concentrazione e neppure quella grande voglia di vincere ammirata nelle partite che conosciamo. E questo è un limite, un grosso limite. Per il presente fino a un certo punto, perché lo Scudetto è andato. Ma soprattutto con sguardo rivolto al futuro.
Lascia un commento