Eppure lo sapevamo. Tutti. È stato raccontato, detto, scritto, chiesto anche ai giocatori prima di cominciare la partita. Era un tema già sollevato. Quale? Il fatto che, dopo ogni vittoria pesante, l’Inter puntualmente fa male e, se va bene, pareggia. Si tratta ormai di un (triste) pattern consolidato: vittoria col Napoli, pareggio col Monza; vittoria col Milan in Supercoppa, sconfitta con l’Empoli; vittoria col Milan in campionato, pareggio con la Sampdoria; vittoria col Porto; sconfitta a Bologna. Quando un evento si ripete in modo così sistematico, risulta anche ingenuo e superfluo concentrarsi sui singoli errori visti durante la gara: il problema è più grande.
Già, perché sicuramente si può recriminare sulle ennesime scelte discutibili di Inzaghi, come la formazione iniziale con Barella in panchina, ma soprattutto i cambi di Dzeko che non ha assolutamente inciso più di Lukaku risultando anzi dannoso, o di D’Ambrosio, entrato per rispettare la legge dell’ammonito che ancora una volta si è rivelata devastante negli effetti: non resti in dieci, ti salvi dalla possibile espulsione, ma perdi la partita. Qualcosa di visto e rivisto. A D’Ambrosio si vuole anche bene, ma per come si era messa la partita c’entrava davvero poco: è stato inserito semplicemente per mancanza di alternative e per non rischiare Bellanova, sparito dopo il brutto ingresso in tempo con l’Empoli, insieme all’altro giovane Asllani, che ormai ci dimentichiamo tutti. Ovviamente, non c’è solo l’allenatore a cui chieder conto, perché tutta la squadra si è resa tristemente protagonista di una prova indecente. Forse la peggiore stagionale.
I problemi sono strutturali
Elencati per dovere di cronaca i problemi specifici della gara di Bologna, bisognerebbe piuttosto interrogarsi e soffermarsi sui problemi strutturali. Parliamo di una squadra che, nelle trasferte di campionato, ha giocato 12 volte raccogliendo il vergognoso e disonorevole bottino di: 5 vittorie, 2 pareggi, 5 sconfitte con 19 gol fatti e 22 gol subiti. Un insulto alla storia dell’Inter. Parliamo di una squadra che ricade sempre negli stessi errori, che è incapace di mantenere la concentrazione sul lungo e che, puntualmente, nelle partite “ordinarie” viene sistematicamente limitata dagli avversari, che disputano praticamente sempre una prova migliore. E che, non a caso, ha messo insieme 7 sconfitte in 24 giornate: siamo vicini a un ko ogni tre partite.
Più volte in questa stagione, ed il problema si è ulteriormente acuito nel 2023 e con la fuga definitiva del Napoli, l’Inter ha dato l’idea di vivere il campionato come una seccatura. Il problema è che la scelta di risparmiarsi e di gestire le forze in vista delle coppe può essere una scelta concepibile nel momento in cui hai messo al sicuro l’obiettivo minimo, quindi l’ingresso nelle prime quattro, e puoi ancora puntare a traguardi prestigiosi nelle altre competizioni. Ma l’Inter, al sicuro, non ha messo proprio niente. La squadra di Inzaghi è pienamente coinvolta nella bagarre Champions: se Milan e Roma dovessero vincere aggancerebbero i nerazzurri, e c’è ancora una sentenza relativa alla Juventus da attendere.
L’Inter dovrà vivere non una seccatura, ma una dispendiosa e agguerrita volata, una battaglia per guadagnarsi il posto nella competizione europea più prestigiosa anche l’anno prossimo. Forse Inzaghi dovrebbe ricordare (a se stesso in primis) che la qualificazione alla Champions viene garantita solo dalla vittoria della stessa. In caso contrario, c’è da prendersi il posto tramite campionato. E se questo non dovesse avvenire, non ci saranno vittorie di Coppe Italia né di Supercoppe da ricordare in ogni risposta ai giornalisti.
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