LA RIFLESSIONE – La colpa è di tutti: la caccia agli untori nell’Inter

La caccia agli untori è un tòpos che si ripete da secoli e in ambiti sempre più disparati. Il popolino crede nella magia, nei complotti e, perché no, nel malocchio, la mala suerte. Ciò che contraddistingue, però, un pensante da un credulone è la capacità di analizzare l’evento. E l’evento, per quanto tragico e che coinvolge emotivamente, riguarda l’ennesima sconfitta dell’Inter, ogni maledetta domenica, anzi maledetto orario della domenica. La caccia agli untori è aperta.

Zhang Steven

Suning, alias Zhang, alias Steven Zhang, colui che tutto piò e tutto nasconde. Partiamo dal presupposto che nel bilancio chiusosi al 30/06/2022 sono stati versati 120 mln per il mercato (voce investimenti), ma sono le cessioni quelle ingombranti. E no, non è sempre colpa del Covid e no, non è sempre colpa del calcio italiano che è in caduta libera. Sì, è colpa di un presidente che può solamente gestire un asset con l’autofinanziamento e ha dato in pegno le quote del suo asset per andare avanti. Se non puoi permetterti una macchina lussuosa anche solo per una serata, inutile prenderla in prestito con tassi da strozzino.

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Ma chi compra i giocatori? La dirigenza, alias Marotta, Ausilio, Baccin, sotto la supervisione di Antonello. Comprare è diventato, da anni, sinonimo di prestito con obbligo, del “pagherò”: si riprendono Lukaku (col senno del poi tutti bravi a dire “investimento inutile”), Bellanova, Asllani, Dumfries, Acerbi, Mkhitaryan. Metti sul mercato Skriniar sapendo che un difensore lo rimpiazzi facilmente (pluri cit.), e invece non solo non lo rimpiazzi, ma andrà a zero. Ultra trentenni funzionali, certo, ma rimangono ultratrentenni. E i giovani fanno la muffa in panchina o vengono fischiati dopo pochi palloni toccati.

Ausilio Piero Beppe Marotta

Ma anche i calciatori non sono esenti da colpe. Dopo i numerosi patti di inizio anno, sembrava che lo spogliatoio fosse ben legato, invece Lukaku se n’è andato in Belgio a farsi curare, Brozovic scomparso per mesi e rientrato con la voglia di giocare di uno che sa che ormai i giochi sono fatti (ma quali giochi?), Barella sull’orlo di una crisi esistenziale ad ogni pallone toccato male da un compagno, Onana che se la prende con Dzeko… Se pensiamo, davvero, che la squadra si sia retta per mesi su Darmian, Mkhitaryan, Calhanoglu, Lautaro, c’è da ragionarci su. In tutto questo marasma, l’allenatore ha confermato di non riuscire a tenere alta la concentrazione in queste partite (vd. Samp e Bologna).

Allenatore, alias Simone, alias Inzaghi. Prende una barca che affonda nell’era post Conte, che ha prosciugato le casse dell’Inter, si accontenta della rosa, gli prendono i suoi pupilli, primo anno vicino all’impresa scudetto (perso a Bologna, tu quoque), secondo anno parte malissimo fra problemi di spogliatoio, la gestione Handanovic (capitano) e Onana, infortuni e presunti tali. Poi arrivano i suoi errori: cambi tardivi, nessuna modifica al modulo quando si è sotto, ammoniti subito tolti dal campo e poca lucidità nella gestione della partita. Di alibi ne avrebbe moltissimi, per carità, ma la sensazione è che non ne voglia uscire da questo impasse per cui cambiare, per lui, è sinonimo di sbagliare e dunque di essere incolpato. L’auspicio è che tutti i cocci si possano mettere a posto. Siamo secondi, con un trofeo già in tasca e la qualificazione in Champions a portata di mano. Nonostante tutto

Inzaghi

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