Si può essere più o meno d’accordo con le critiche, ma c’è una certezza: sono stati i quattro giorni più difficili di Simone Inzaghi all’Inter. Di più anche di quelli trascorsi fra Inter-Roma dello scorso ottobre e Inter-Barcellona, quando la panchina del piacentino sembrava davvero a un passo dallo sgretolamento. Oggi come allora, i nerazzurri hanno risposto presente. Sei mesi fa avevano disperato bisogno di una vittoria, al Do Dragao invece c’erano due risultati su tre a disposizione: missione compiuta. E in pieno stile Inter.
Inzaghi ha preparato bene la partita, perché l’ha improntata sulla razionalità. In molti dicevano “l’Inter deve giocare come se all’andata non avesse vinto”. Niente di più stupido e dannoso. L’Inter si era costruita un vantaggio prezioso a San Siro ed era giusto che, su quel vantaggio, costruisse la partita di ritorno in un clima infuocato. Questo non significa chiudersi in difesa dal primo all’ultimo minuto, cosa che infatti non è successa, ma essere sempre accorti nella chiusura degli spazi e nel tenere le posizioni, senza avventarsi in pericolose discese offensive lasciando sguarniti gli spazi, quello sì. Fare il contrario sarebbe stato un clamoroso autogol.
Il piano era quello di anestetizzare l’entusiasmo e le offensive del Porto, impossessarsi della palla e sfruttare con le verticalizzazioni le praterie che in alcuni momenti sono state concesse. L’Inter ci è riuscita a metà, vanificando alcune occasioni in ripartenza sbagliando nelle scelte, vedi Barella che serve Dzeko e non Lautaro, vedi Dzeko che non si libera del pallone e cerca di guadagnarsi un fallo che non c’è. In generale, a livello di precisione tecnica hanno deluso proprio i giocatori da cui aspettarsi di più: Barella, Lautaro, Dzeko.
Sulle orme della storia
Avrebbe dovuto fare gol nel primo tempo, l’Inter. Per mandare in crisi il Porto e magari per regalarsi minuti finali più tranquilli. La partita è stata invece tenuta aperta e allora, come prevedibile, i nerazzurri si sono messi l’elmetto e hanno cominciato a difendere, ma sul serio: lo hanno fatto benissimo, con una concentrazione altissima e uno spirito ammirevole, guidati da un eroico Darmian, da un maestoso Acerbi, da un impavido Onana che è intervenuto solo nei momenti in cui la difesa non ce l’ha fatta, a proteggere la porta. Quindi nei minuti di recupero. E poi un Dumfries che in attacco, come al solito, ha lasciato a desiderare ma che questa volta in difesa ha salvato un gol sulla linea, come Dimarco che nel primo tempo è intervenuto in scivolata su una conclusione avversaria. Senza dimenticare il centrocampo: Barella ha perso qualche pallone di troppo, ma Calhanoglu (ancora MVP Uefa) e Mkhitaryan sono stati fondamentali in fase difensiva più che nella spinta. Chi se lo sarebbe mai aspettato. Sono i segnali di una squadra che è sul pezzo e che in Champions League lo è sempre stata.
Negli ultimi minuti sì che è stata difesa strenua, sì che è successo di tutto, sì che c’è stata anche un po’ di fortuna sui due legni avversari e sì che è servito un Onana prodigioso sul colpo di testa avversario. Sono stati minuti di recupero da batticuore, di sofferenza pura, di esaltazione dello spirito e del DNA di questa squadra, che ha ricordato le grandi notti europee nerazzurre. Ha ricordato l’Inter di Cuper a Valencia che andò in semifinale con un Toldo prodigioso e l’Inter di Mourinho a Barcellona. Non è catenaccio, è Interismo, è rispondere presente alla storia. Perché l’Inter non è e non può essere la squadra svagata che crea tanto, non concretizza e subisce: non è storicamente quella del campionato. L’Inter è quella in cui i gregari si esaltano nella protezione, in cui si è disposti a lasciare ogni cosa in campo per difendere il risultato, è quella che ti fa piangere di gioia al fischio finale dopo aver provato la paura di non farcela.
Dedicata ai presenti…assenti
La qualificazione ai quarti di Champions League, che non è un trofeo ma porta con sé la gioia di rivivere due partite così importanti dopo 12 anni, non può che essere dedicata a tutti quei tifosi nerazzurri che ieri erano presenti ad Oporto, ma inspiegabilmente assenti al Do Dragao. Si tratta di persone che hanno raggiunto il Portogallo da ogni zona d’Italia, che hanno pagato regolare biglietto e magari volo e hotel, pure con famiglie al seguito e che sono state tenute fuori dallo stadio con un vergognoso atto barbarico della polizia locale.
No, gli aggettivi scelti non sono troppo forti: si tratta di una vergogna per la decisione presa e anche per l’atteggiamento tenuto dalle forze dell’ordine, che hanno respinto i tifosi nerazzurri anche ricorrendo alla violenza. Non si faceva accenno a nessun divieto di acquistare biglietti in zone diverse dal settore ospiti, quando è stata aperta la possibilità d’acquisto dei tagliandi. La Uefa è obbligata ad indagare su quanto è successo. Non discutiamo i problemi di ordine pubblico: bastava dirlo prima, al momento della vendita, senza far sperperare denaro a nessuno.
E allora, questa qualificazione va soprattutto a coloro che hanno ammirevolmente seguito la squadra fino al Portogallo, ma che nel momento più bello, quello che sognavano, non erano lì ad assistere. L’Inter ha fatto tutto ciò che poteva fare per renderli orgogliosi: ha vissuto una notte da Inter. Non serve aggiungere altro.
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