Se un anno fa, di questi tempi, ci fossimo proiettati nel futuro e nello specifico alla giornata di oggi, avremmo avvertito una forte sensazione di disorientamento. Già, perché ci troviamo qui a tormentarci per l’infortunio di un interprete del centrocampo dell’Inter nel momento più importante della stagione. Sì, è qualcosa che abbiamo già passato, ma cambiava il protagonista del racconto: Marcelo Brozovic a marzo 2022, Hakan Calhanoglu a marzo 2023.
Ma le sorprese non finiscono qui, affatto. Non finiscono perché, nell’inevitabile ricerca del sostituto di colui che in questa stagione si è rivelato l’uomo migliore dell’Inter di Inzaghi, ovvero Calha, ci si imbatte indiscutibilmente in un profilo: è proprio quello di Brozo, l’ex indispensabile. Il croato è passato, nel giro di un anno solare, dall’essere il fulcro, il cervello e il cuore pulsante dell’Inter, all’investitura di “quarto uomo del centrocampo”, quello cui affidarsi nel mare tempestoso. Un mare pieno di onde, che arrivano da tutte le traiettorie: Serie A e corsa al piazzamento Champions, Coppa Italia e semifinali contro la Juventus, Champions League e quarti di finale contro il Benfica (il turco salterà al 99% la sfida del Da Luz, o comunque non sarà in condizione di esserci dal primo minuto; forse ce la farà per il ritorno).
Come se non bastasse, la cosa ancor più strana è che gli Interisti oggi siano estremamente preoccupati da tutto questo. E no, non faremo l’errore di dare ai tifosi nerazzurri (come chi scrive, d’altronde) dei pessimisti, dei catastrofisti, degli ingiustificabili allarmisti. Magari queste caratteristiche rientrano anche nel manuale del tifoso appassionato, il cui attaccamento sfocia nell’ansia e nell’angoscia per quello che verrà. Ok, ma non è questo il caso. Oggi il tifoso dell’Inter ha preoccupazioni legittime. Il calcio cambia in fretta, come di fretta è mutato lo status di Brozovic nella squadra di Simone Inzaghi, per varie ragioni: gli infortuni, certo, ma dalle parti di Appiano si spiffera anche di un atteggiamento poco ortodosso negli allenamenti, mentre non c’è bisogno di spifferi per riscontrare il calo delle prestazioni sul campo. E allora certo che le preoccupazioni sono legittime. Perché il centrocampo è l’unico reparto che nell’Inter stava funzionando davvero (velo pietoso sulla difesa, tanti i problemi dell’attacco), da quando si è formato il nuovo trio con Calhanoglu al centro, affiancato da Barella e Mkhitaryan.
Vista l’importanza che il ruolo di regista ricopre nel calcio in generale, ma soprattutto nella squadra nerazzurra e specialmente quando si giocano partite di alto livello in Champions League, possiamo stare certi di una cosa: con il Brozovic visto in questa stagione, l’Inter è destinata ad affondare nel mare di aprile. Siamo fiduciosi, però, che lo scenario possa cambiare e ne abbiamo anche fondate motivazioni.
Per capire le ragioni di questo ottimismo, è utile ripercorrere la parabola del numero 77 in nerazzurro. Dal gennaio 2015 (quando arrivò a Milano) alla primavera del 2018, un’altalena infinita. Grandi prestazioni miste a prove sconcertanti e indisponenti, fino ad arrivare ai fischi di un San Siro esausto nel febbraio 2018, con tanto di applauso ironico del croato che un mese prima era stato vicinissimo all’addio, salvo venir provvidenzialmente trattenuto da Luciano Spalletti. Lo stesso allenatore che l’11 marzo successivo gli consegnerà una nuova vita professionale. Non è soltanto la scelta di assegnare il ruolo di regista fisso ad un giocatore che nei tre anni precedenti aveva vagato negli schieramenti alla ricerca di una posizione (mezzala nel 4-3-3, trequartista, addirittura esterno di centrocampo) e che non era neppure un titolare fisso. È soprattutto il misto tra fiducia incondizionata e carico (bello grosso) di responsabilità sulle spalle del giocatore.
La crescita di Brozovic, da quel finale di stagione e per le quattro successive, è stata costante e a tratti irrefrenabile, tanto a livello tecnico quanto per inevitabile maturità acquisita. E vale lo stesso per la trasformazione dei fischi di San Siro in applausi sistematici. In tutti questi anni, una cosa è stata certa: lui gioca sempre, anche troppo, fino a non avere idea di come si faccia senza di lui (cosa che l’Inter ha pagato a caro prezzo l’anno scorso, nel suo mese di assenza senza vittorie). Gli è stato affiancato Gagliardini o Vecino nel centrocampo a due di Spalletti, poi Barella e Sensi o Eriksen nella mediana a tre di Conte, fino all’innesto di Calhanoglu. Brozovic ha funzionato sempre. E ha funzionato perché era intoccabile.
Quest’anno, invece, l’infortunio era serio e ha cambiato tanto, forse tutta la storia. Inzaghi ha dovuto necessariamente trovare il modo di inventarsi qualcosa per sopperire alla sua assenza: ne è nato il Calhanoglu migliore di sempre, nella posizione che fu di Brozo. L’Inter ha funzionato risistemandosi, ha dimostrato di poterne fare a meno e sono pure cominciati i rumors su un suo possibile sacrificio a fine stagione per fare cassa. Per capire la portata della cosa, parliamo del sacrificio (quasi a cuor leggero) di un calciatore che solo pochi mesi prima era stato rinnovato a furor di popolo e all’unanimità, garantendosi un ingaggio da top in rosa (è secondo solo a Lukaku).
Il rendimento del croato dopo l’infortunio non è più stato lo stesso, anche quando è stato ri-utilizzato dal primo minuto da regista, il mestiere di una vita (o quasi). Troppo per non pensare che alla base ci sia una componente psicologica, che deriva tanto dalle voci su un addio (che resta assolutamente possibile), quanto dal fatto che non sia più ritenuto indispensabile. Ecco, Brozovic adesso indispensabile lo è ritornato. E se c’è una cosa che la sua avventura a Milano ci ha raccontato, è che quando ha avuto questo status ha sempre risposto presente. Deve farlo ancora. Ce lo deve: il popolo interista non ammette e non merita tradimenti adesso. E se addio sarà, che avvenga nel modo più dolce possibile.