L’Inter non riesce mai a raddrizzare le partite che si mettono male, quelle in cui va sotto. Così ci dicevano. A Salerno, invece, abbiamo scoperto che il problema non è affatto l’andamento dei match, non c’è una questione tecnica o specifica alla quale appellarsi: l’Inter non ha più una mentalità. E per mentalità intendiamo quella che ti protende verso la vittoria, in ogni circostanza, e puoi anche non riuscirci, ma dal campo esci davvero col petto in fuori, sempre. I nerazzurri, invece, dopo il pareggio di Candreva avevano teste basse, sguardi persi nel vuoto, volti cupi. Com’è giusto che sia.
La gara, infatti, questa volta si era indirizzata come meglio non poteva: gol dopo pochissimi minuti, avanti 1-0 contro la quattordicesima (14) in classifica, quando ti stai giocando qualcosa che per la società è ritenuto vitale, ovvero un posto Champions. Col passare dei minuti, però, fra momenti di assopimento e occasioni clamorose sbagliate, tutti sapevamo come sarebbe finita, dove per “tutti” si intende chi conosce l’Inter e chi la ama. Quando vedi il palo di Barella, l’ennesimo errore folle di Lukaku, la leggerezza con cui Lautaro non la chiude, sai che andrà così. Il problema è che quella dei gol sbagliati non può essere una scusante per nessuno, né per i giocatori direttamente colpevoli né per l’allenatore, sebbene quest’ultimo ci abbia provato – fra un complimento e l’altro ai suoi – a scagionarsi e deresponsabilizzarsi per l’ottavo punto raccolto nelle ultime otto partite. L’anno scorso c’erano stati i sette in altrettante gare, quest’anno l’Inter si è naturalmente adattata al suo campionato horror facendo peggio anche in questo e “migliorando” il record negativo.
Perché si parla di “sfortuna” solo in campionato?
Per pietà, non parlateci di sfortuna. Non a chi ama questa squadra: è umiliante. Sì, il gol di Candreva è uno di quelli che capitano raramente, ma la verità è che la sfortuna non arriva da sola: l’Inter la annusa, la cerca, la rincorre e inevitabilmente la trova. Sbagliare tutti quei gol, fallire l’occasione di azzerare le possibilità avversarie di rimanere in partita significa anche esporsi al rischio che poi, in un modo o nell’altro, l’avversario ti faccia male. Così come non “tiene” la scusa del gol della domenica da parte della Salernitana, non tiene neppure – permetteteci – quella dei gol falliti, quando si tenta di correlare questo fattore al fumoso ed equivoco concetto di “sfortuna”. L’enormità di occasioni dilapidate, semmai, testimonia la cronica mancanza di cattiveria che appartiene a questo gruppo: l’errore è ormai nella testa, prima che nei piedi. È quel nocivo misto fra supponenza e ansia che si verifica soltanto nelle annate peggiori e che sta travolgendo l’Inter, che effettivamente arriva vicina a fare centro ma poi si perde sempre per strada.
La riprova di quanto diciamo sta nel fatto che, nelle competizioni che non siano il campionato, incredibilmente (ma non troppo) la nozione di sfortuna svanisce. Cosa cambia? Forse il fatto che quelle sono le (uniche) circostanze in cui quest’anno abbiamo visto un’Inter davvero sul pezzo. E guarda un po’, in alcuni casi è pure girata bene. Perché, da sempre, la capacità di attirare la fortuna e quella di allontanare la sfortuna dipende da cosa tu metti in campo. Non si è parlato di sfortuna in Supercoppa, quando l’Inter ha fatto tre gol al Milan massimizzando gli effetti della mole di gioco creata; non se n’è parlato in Coppa Italia, dove anzi l’episodio è pure stato favorevole (vedi il fallo di mano di Bremer); non se n’è parlato in Champions League, quando nel finale ad Oporto la squadra di casa ha colpito due legni. Magicamente, in quest’ultima circostanza sono stati gli altri a parlare di sfortuna. Quelli che non ce l’hanno fatta, quelli che hanno fatto meno. Il ruolo che di solito recita l’Inter è stato invece ricoperto dal Porto di turno, guarda un po’.
Inutile dire che l’ennesimo passo falso allontana ulteriormente la squadra di Simone Inzaghi dalla prossima Champions League. E altro che malasorte, la allontana giustamente: l’Inter vista in questo campionato non merita di entrare nelle prime quattro. Ci sono squadre che sono, appunto, più “squadre”, che hanno più voglia, ambizione, cattiveria. Paradossalmente, per quanto visto nell’attuale stagione, i nerazzurri hanno più possibilità di entrare nella coppa più prestigiosa vincendola, la Champions, piuttosto che entrando fra le prime quattro. Un trionfo che resta estremamente improbabile, ma è un concetto che serve a far capire quanta differenza ci sia fra le due versioni dell’Inter. In Champions, però, ci sono squadre oggettivamente molto più forti che alla fine, al 99%, vinceranno la coppa al posto dei nerazzurri. In campionato, invece, l’Inter ha deciso di autodistruggersi e lo ha fatto da settembre. È un campionato che è nato male, proseguito peggio e rischia di finire in un dramma sportivo e finanziario. E la sensazione è che non si tratti più di “rischio”: la cosa più probabile, più ovvia, più naturale, è che l’Inter l’anno prossimo non giochi la Champions League.
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