L’ANALISI – Diciamocelo chiaramente: manca l’impegno. L’Inter sta giocando a una roulette russa modificata


Che pessima e triste routine è diventata, commentare l’Inter di campionato. Ti ritrovi a esprimere gli stessi concetti, gli stessi difetti, le stesse lacune e la stessa rabbia di sempre, perché il copione non cambia, anzi diventa sempre più sconfortante. La squadra di Inzaghi ha perso ancora, è la quarta sconfitta nelle ultime cinque partite, la terza consecutiva a San Siro senza segnare alcun gol: non era mai successo nella storia nerazzurra. Se una settimana fa provavamo a spiegare che la sfortuna non può essere catalogata negli alibi di questo campionato horror, un motivo c’era. E contro il Monza l’Inter, purtroppo, ci ha dato ragione con una prestazione raccapricciante.

Inzaghi continua a dire che la causa principale di tutto questo siano le prodezze dei portieri avversari, ma la verità è che ieri Di Gregorio è stato semplicemente attento, non ha fatto nulla di trascendentale. L’Inter ha creato pochissimo e, ancora una volta, ha subito gol. Uno degli slogan delle grandi squadre è: “Se non puoi vincere, pareggia“. Per i ragazzi di Inzaghi non vale nulla di tutto ciò. Basti pensare che, se almeno 5 delle 11 sconfitte si fossero tramutate in pareggi, a quest’ora i nerazzurri sarebbero in zona Champions a +3 sul Milan. E invece la coppa più prestigiosa si allontana sempre di più, l’Inter non dà alcun segnale di potersi piazzare fra le prime quattro, anzi serpeggia sempre di più la convinzione che non ce la farà. Perché non lo merita.

Manca l’impegno. Perché?

Non ha nemmeno più senso continuare a interrogarsi sui limiti della rosa, asserendo che sia costruita male (il che è anche vero, ma non è questo il punto): nulla di tutto ciò può giustificare questo scempio. Il cammino brillante in Champions League sta diventando quasi un’aggravante per Inzaghi, anziché costituire un punto a favore. Se la rosa fosse effettivamente scarsa e i risultati terribili fossero esplicabili con il valore dei singoli, come si spiega che questi stessi giocatori abbiano eliminato il Barcellona con due grandi prestazioni, sbattuto fuori il Porto e piegato 2-0 il Benfica a Lisbona?

Di materiale ce n’è fin troppo, per non chiamare in causa l’impegno e la professionalità di tutti. Altro che sfortuna, altro che i portieri avversari, altro che i giocatori incapaci nell’uno contro uno: il problema è che in campionato non ci sono motivazioni, manca chiaramente l’impegno. Se vedi Barella e Bastoni dominare nelle notti europee e poi diventare scadenti e distratti con la Salernitana o il Monza di turno, che cosa devi pensare? Se vedi una fase difensiva straordinaria contro avversari di ben altro calibro in Europa, imbattuta da più di 280 minuti, come si fa a spiegare i gol subiti in serie in campionato?

Inter Monza

A questo punto, urge chiedersi perché l’Inter non sia motivata in campionato. La sensazione forte è che ci sia uno scollamento forte fra la squadra e Simone Inzaghi: dobbiamo quindi propendere verso le posizioni secondo cui i giocatori trovino automaticamente gli stimoli in palcoscenici come la Champions League. Quando invece c’è bisogno della guida, di chi ti convinca che al Picco di La Spezia o all’Arechi di Salerno sia importantissima, l’impegno viene a mancare, c’è l’incapacità di trasmettere qualcosa. La Champions League motiva tutti, è il sogno di ogni calciatore, piccolo e grande. E al tempo stesso porta a tirare indietro la gamba in campionato. Ma non è così che può essere gestita una grande squadra. All’Inter non veniva chiesto di arrivare in finale di Champions e vincere il campionato: all’Inter oggi viene chiesto un misero quarto posto, in uno dei campionati in cui la quota Champions sarà più bassa.

Il piazzamento, inoltre, non motiva forse chi negli ultimi tre anni è stato abituato a lottare per lo Scudetto (secondo posto nel 2020, primo posto nel 2021, secondo posto nel 2022), ma soprattutto non motiva quella folta schiera di giocatori che non sa se rimarrà a Milano. Innanzitutto i giocatori in scadenza di contratto o in prestito, ma anche chi sa di essere più o meno sul mercato come Dumfries e Brozovic, oltre ai tre pezzi più pregiati (Bastoni, Barella, Lautaro) che sanno che – con questa proprietà – tutti, ma proprio tutti, possono essere sacrificati per incassare soldi e reinvestirne, magari, una parte irrisoria. Lo stesso allenatore, fra l’altro, ha il destino incerto: meglio provare a fare qualcosa di storico in Champions oppure giocarla l’anno prossimo, per garantire una squadra ragionevolmente più forte al suo successore? Nulla di tutto questo è fatto intenzionalmente, ma è fisiologico – in questo contesto intricato – che le motivazioni e le attenzioni vadano verso una competizione e non verso l’altra.

Un suicidio sportivo

Il problema è che, se molti giocatori non prosciugano le proprie energie per una Champions che non sanno nemmeno se giocheranno con l’Inter, questa serie di fattori rappresenta qualcosa di simile a un suicidio sportivo per il club. Dalle parti di Viale della Liberazione c’è un disperato bisogno degli almeno 60 milioni garantiti dalla Champions League e il piazzamento è stato posto, sin dall’arrivo di Suning, come obiettivo minimo e indispensabile per ogni stagione. Non farcela sarebbe un disastro e, anche se quest’anno l’Inter dovesse fare altra strada, i mancati incassi dell’anno prossimo peserebbero tantissimo.

Se lasciamo da parte per un attimo il discorso economico e aziendale, soffermandoci sulla prospettiva del tifoso, il discorso non cambia poi troppo. Il tifoso sa che per vincere la Champions serve un miracolo: l’Inter può passare col Benfica, ma sarebbe poi attesa da Milan o Napoli in semifinale (se la giocherebbe) ed eventualmente da Manchester City o Real Madrid in finale, squadre sulla carta e per esperienza notevolmente superiori. Certo, tutto può succedere, ma l’impressione è che l’Inter stia giocando ad una roulette russa modificata, in cui le probabilità che parta il colpo sono tre volte superiori rispetto al contrario.

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