20 anni. Dal Nokia 3310 all’iPhone 14, da Tele+ a Prime Video, dai gol in trasferta alla semplice somma delle reti, ma soprattutto…da San Siro a San Siro. Ciò che è rimasto intatto, fra quella lunghissima e torrida settimana del 2003 e quella che rivivremo tra poco, è l’iconico stadio in cui si disputeranno entrambe le partite. E insieme a lui, l’enorme passione dei tifosi di Inter e Milan, che da allora hanno vissuto trionfi ma anche anni di buio e anonimato, pensando di non ritornarci più, a questi livelli. E invece rieccole di nuovo al top d’Europa, nell’élite, nelle prime quattro, con la possibilità di accarezzare un sogno.
L’Inter, da parte sua, ce l’ha fatta con una netta dimostrazione di superiorità consolidata già nell’andata al Da Luz, in una gara che ha spostato pesantemente l’inerzia dalla parte nerazzurra. E poi, in un clima spettacolare suggellato da una coreografia da brividi e da un sostegno incondizionato per tutta la gara, ha ripetuto l’ottima prestazione anche fra le mura amiche. Concentrazione, applicazione, mentalità adeguata, oltre a un’altra prova leggendaria del suo centrocampista più forte, di spessore internazionale, leader vero e trascinatore: il gol di Nicolò Barella che ha fatto esplodere San Siro è già storia.
Poi, certo, se non si complicasse un minimo la vita non sarebbe Inter, e per questo è arrivato uno svarione difensivo quasi inspiegabile che ha creato una sorta di apnea nel finale di primo tempo e anche all’inizio del secondo, prima che l’assist al bacio di Dimarco permettesse a Lautaro di spaccare la porta e rompere un digiuno che durava da un mese e mezzo. L’Inter era talmente carica a livello collettivo che anche un calciatore in netta difficoltà come Correa ha tirato fuori un gol straordinario. Nel finale, i nerazzurri hanno staccato la spina e sono arrivate due reti del Benfica che non fanno male, ma ricordano ai ragazzi di Simone Inzaghi che non possono permettersi distrazioni, mai.
Nel complesso, è stata la tipica Inter da Champions. È stata l’Inter che ti fa chiedere come sia possibile una differenza così ampia a livello individuale e collettivo fra lo scempio cui assistiamo in campionato e la grande bellezza europea. Ma, ormai lo sappiamo, questa stagione è andata così. E giunti fin qui, è giusto credere in un sogno, nonostante i pronostici iniziali fossero lontanissimi da un’Inter nelle prime quattro d’Europa. Anzi, proprio per questo è corretto crederci anche di più.
Rivivere un incubo o superarlo per sempre?
Siamo tutti in fibrillazione, saremo tutti in apnea e ci resteremo fino al 16 maggio prossimo. Ma perché? Non solo a causa dell’eterna rivalità che inevitabilmente caratterizza due squadre che convivono nello stesso luogo, uniche concittadine capaci di vincere la Champions League. Ad incidere sono anche i precedenti, e soprattutto quel precedente. Chi c’era se lo ricorda. E come la dimentichi, quella beffa, quella sensazione di ingiustizia propiziata da un regolamento assurdo capace di far pesare due pareggi per un gol in trasferta, in due gare disputate nello stesso stadio. Sono 20 anni che ce lo ricordano, sono 20 anni che nel profondo dei nostri animi da tifosi quella delusione ancora vive, corrode, tormenta.
La cosa che più ci rende inquieti, probabilmente, è che sarà un tutto o niente. Qui non c’è spazio per le vie di mezzo. Sarà inferno o paradiso, e quando giochi contro il Diavolo la metafora suona ancora meglio. L’Inter può rivivere un incubo capace di tormentarci per tanti altri anni ancora e con intensità superiore, è vero. Ma la nostra meravigliosa squadra può anche riscriverla, la storia, e può superarlo quel trauma, distruggendone il ricordo e disegnando una nuova parabola capace di avvicinarci al sogno, quello che il 10 giugno porta a Istanbul. D’altronde, non abbiamo superato il 5 maggio 2002 perché non c’è stata più occasione di vincere lo Scudetto all’ultima giornata. Lo abbiamo superato, invece, vincendo a Parma nel 2008 ed esorcizzando i vecchi incubi, tutti insieme. E allora, cara Inter, questa volta facci piangere di gioia.
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