Per l’Inter è arrivato il momento della raccolta dopo gli enormi sforzi profusi nel corso della primavera. Erano tre gli appuntamenti capaci di far tagliare ai nerazzurri i traguardi: la finale contro la Fiorentina di mercoledì scorso, la partita con l’Atalanta di ieri sera e la finale contro il Manchester City di sabato 10 giugno. Ebbene, l’Inter per ora ha fatto due su tre: due spunte verdi su “vittoria Coppa Italia” e “qualificazione in Champions League”.
Quella contro i bergamaschi era una gara che preoccupava. Certo che all’Inter bastava un punto per ottenere il pass matematico, ma è impossibile non considerare le circostanze di avvicinamento al match. Un dato può essere più degli altri indicativo: la squadra di Simone Inzaghi ha preparato il duello con l’Atalanta in un pomeriggio, quello di venerdì. Il tecnico, infatti, aveva concesso un giorno e mezzo di riposo ai suoi ragazzi arrivati stremati da Roma, nonostante il folle posizionamento della partita al sabato sera.
L’Inter ha dimostrato ancora una volta di aver raggiunto un livello di maturità invidiabile e, se vogliamo, insospettabile fino a qualche settimana fa. Ha fatto quello che bisogna fare, in queste situazioni: indirizzare la partita fin da subito partendo fortissimo e poi tentare di gestire, senza rinunciare a un gioco sempre propositivo. Tre minuti, 2-0: una partenza che ha ricordato quella dell’euroderby d’andata per ferocia e cinismo. Poi ha attraversato tante fasi all’interno della partita: un calo di concentrazione nel primo tempo che ha portato l’Atalanta ad accorciare le distanze, un magnifico rientro in campo dopo l’intervallo, il gol del 3-1, la nuova sofferenza dopo la prodezza di Muriel e poi il fischio finale che vale la Champions League 2023-24. In tutta la gara, in ogni piega della partita, l’Inter è sempre stata squadra. E anche questa volta, l’ultima in questa stagione, è stata accompagnata da una cornice commovente.
La stagione a San Siro si chiude con un record di presenze totali che recita 1.973.505 (un milione, novecentosettantatre mila, cinquecentocinque): è la testimonianza di un popolo che si conferma migliore in Italia per apporto ed è un dato che non si può neppure ridurre ai risultati sportivi conseguiti dalla squadra. Perché i tifosi dell’Inter ci sono sempre, qualunque cosa accada.
Si tratta, semmai, di un attestato del legame simbiotico che si è intensificato sempre più fra i ragazzi e il loro popolo, quando siamo giunti al culmine di una stagione che – comunque vada – sarà da ricordare. È stata una primavera lunghissima, riempita di emozioni, nella quale l’Inter si è resa protagonista di una corsa folle su tutti i fronti. Solo nell’ultimo mese abbondante, dal 23 aprile e da quella trasferta di Empoli che ha cambiato il destino in campionato, i nerazzurri hanno disputato 11 partite (sono 17 se consideriamo il post-sosta di marzo), tutte estremamente congestionate: ne ha vinte 10 e ne ha persa una, a Napoli.
L’Inter ha confermato il suo cammino eccezionale nelle coppe, arrivando alle finali di Champions League e Coppa Italia, ma ha pure messo a posto le cose in campionato. Prima di Empoli, era sesta in classifica e Max Allegri, dopo essere uscito sconfitto da San Siro, tutto impettito ripeteva ai dirigenti nerazzurri – dopo qualche insulto in pieno stile Juve – che quello sarebbe stato il piazzamento finale. Fa sorridere guardare oggi la classifica: l’Inter terza e matematicamente in Champions League, la Juventus settima e, ancora una volta, penalizzata insieme alla sua reputazione.
Guardare il calendario, a un certo punto, faceva paura e la sensazione di non piazzarsi fra le prime quattro era giustificata: sfide in campionato contro avversarie dirette quali Lazio, Roma e Atalanta (solo vittorie); due euroderby di Champions League che prosciugano anima e fisico; semifinali di Coppa Italia contro la Juventus. L’Inter si è dimostrata più forte di tutti ed è stato bellissimo, perché non c’è altro aggettivo per descrivere una squadra capace di eliminare i rivali di sempre in Champions e in Coppa Italia e di recuperare terreno in campionato vincendo sempre, quando c’era da vincere, dando la dimostrazione di non avvertire stanchezza alcuna. “Una squadra in missione“, dice bene Inzaghi. Perché non ha sacrificato nulla.
Da oggi comincia per davvero l’avvicinamento all’appuntamento più importante dell’anno, non solo per l’Inter ma per il calcio internazionale. Simone Inzaghi potrà permettersi di dosare le energie nell’ultima di campionato a Torino e di ragionare sulle scelte in chiave Istanbul. Se nove undicesimi della formazione titolare il 10 giugno sono già fatti, restano due dubbi: il rientrante Mkhitaryan o Brozovic? Dzeko o Lukaku?
Se a centrocampo molto dipenderà anche dalle condizioni dell’armeno, il ballottaggio che scalda il popolo nerazzurro è quello in avanti. Noi, da parte nostra, a questo punto non possiamo che fidarci di Simone Inzaghi e accettare serenamente la sua decisione. L’Inter è arrivata a giocarsi il Sogno con Dzeko sempre titolare, ma le ultime due prestazioni del bosniaco e di Lukaku sono risultate opposte: incolore la prima, straripante la seconda. Big Rom ha trascinato, più in generale, i nerazzurri verso la qualificazione in Champions League con 7 gol e 3 assist nell’ultimo mese. Dzeko è però l’uomo che, fra le altre cose, ha sbloccato il doppio confronto europeo con il Milan con una prodezza al volo.
La sensazione è che la tenuta mentale sarà più importante delle scelte di formazione, specialmente se consideriamo che chi resterà fuori verrà certamente impiegato nel secondo tempo. Lo spirito di questa Inter è stato ben condensato e raccontato da Onana ieri, dopo la partita: “Ai tifosi non posso promettere la vittoria, ma posso giurare che siamo disposti a morire in campo per scrivere la storia dell’Inter“.
E allora diciamo che in quel clima di ieri a San Siro, in quelle torce accese e in quel coro incessante che ha accompagnato la stagione nerazzurra, c’era proprio la ricezione di questo spirito e la volontà di ricambiarlo e restituirlo più forte. C’erano sogni, speranze e tanta, tanta emozione. Quella che deriva dai mesi vissuti, dagli ostacoli superati, dalle gioie che resteranno per sempre, ma anche dall’appuntamento con la Storia che vivremo tutti insieme, fra 13 giorni. Noi e Voi, come sempre. 13 giorni, come 13 sono gli anni trascorsi da queste parole che riannodano una volta in più il filo tra passato e presente: “Per noi è un sogno, per loro è un’ossessione“. Vi ricorda qualcosa?