Archiviati i rispettivi media day delle prossime finaliste di Champions League, da oggi sarà tempo del silenzio assoluto e della concentrazione immersiva fino a venerdì, quando allenatori e giocatori di Manchester City e Inter parleranno direttamente da Istanbul alla vigilia dell’ultimo atto. Noi, però, possiamo permetterci nel frattempo di analizzare le dichiarazioni degli interessati e, soprattutto, il “non-detto”.
Differenze
Gli esponenti nerazzurri hanno riconosciuto la forza del Manchester City descrivendola come “miglior squadra al mondo”, in primis Simone Inzaghi, ma nelle parole e negli sguardi di tutti c’era una luce, quella della voglia di giocarsi un sogno e provare a renderlo realtà. Il “mi sento più inzaghiano che mai” di Bastoni, il mourinhano “per noi un sogno, per loro un’ossessione” citato da Dimarco, il “chi è Gallagher?” di Lukaku, il “le finali non si giocano, si vincono” di Onana preso in prestito dal suo connazionale e maestro Samuel Eto’o, che pronunciò queste parole il 22 maggio 2010: sono tutte testimonianze di Interismo che oggi più che mai scorre nelle vene e anche di un filo che questi ragazzi vogliono provare a tendere con i protagonisti di 13 anni fa e con quella squadra leggendaria.
Se lato Inter si è potuta apprezzare la genuinità delle dichiarazioni mista all’entusiasmo di giocare la partita più importante delle rispettive carriere nei club (nessuno ha mai disputato una finale di Champions League), oltre a un po’ di sana spavalderia, diverso è il discorso sull’altra sponda. I Citizens vivono in una galassia differente da anni, una galassia che rincorre il chiodo fisso con le Grandi Orecchie. Prendiamo le dichiarazioni rilasciate da Pep Guardiola a Sport Mediaset ieri, nel momento in cui gli è stato chiesto come ci si sente a vivere una finale da “favoriti”.
“Questo a voi italiani piace tanto. Volete che siamo favoriti? Siamo favoriti. Siete contenti? Dai, andiamo a giocare. Noi andiamo lì a vincere la partita, ma non c’è dubbio che l’Inter vada a Istanbul per fare lo stesso. Ma da quello che ricordo a voi in Italia piace da sempre dire ‘ah, gli altri sono più forti’. Questo giochino c’è da tanto tempo. Volete così? Dai, ok, siamo favoriti“.
C’è prima di tutto da rilevare una differenza nel tono utilizzato dal tecnico del Manchester City, di solito particolarmente conciliante con il mondo italiano e questa volta molto netto nel marcare la differenza fra “voi” italiani e gli altri. E poi, ecco il buffo tentativo di scagionarsi dallo scomodo ruolo di “favoriti”, inevitabilmente appiccicato addosso alla sua costosissima squadra. Davvero Pep pensa di non essere favorito? Assolutamente no. Non serve essere Guardiola per guardare ciò che è sotto gli occhi di tutti.
Nervosismo significa pressione
Basta dare un’occhiata alle quote, mai così sbilanciate in occasione di una finale di Champions League: nella maggior parte dei casi, il City si attesta su 1.25 e l’Inter sui 4.00, se non di più. Il divario è innegabile, se parliamo di una squadra che ha vinto cinque delle ultime sei edizioni del campionato più difficile al mondo e che rincorre, proprio come un’ossessione, la prima Champions League della sua storia.
Non può essere altrimenti, anche e soprattutto se guardiamo ai costi. La spesa totale per le formazioni titolari che dovrebbero essere impiegate a Istanbul parla di 125,95 milioni dell’Inter e 637,9 milioni del City. Se guardiamo il prezzo delle rose in lista Champions, siamo a 295,24 milioni contro 910,4 milioni. Una flotta di calciatori super pagati e poi – sacrosanto riconoscerlo – sempre valorizzati alla grande da Guardiola, contro una squadra a maggioranza di costi zero.
Insomma, possiamo dirlo, con tutto il rispetto di questo mondo? Le parole di Guardiola rischiano di scadere nel patetico, semplicemente perché non ci crede neppure lui. Si tratta, però, di un evidente tentativo di scaricare i suoi giocatori – e anche se stesso – dalle grandi pressioni che inevitabilmente stanno avvertendo. Il catalano avrebbe potuto ammettere lo status di favoriti e aggiungere però che si tratta sempre di una partita secca, che serve la concentrazione alta e cose di questo tipo.
E invece Guardiola prova a negare, scottato forse da quanto accaduto due anni fa con il Chelsea. Lo fa mostrando nervosismo, un insolito atteggiamento ostile verso gli italiani e l’impazienza di giocare per scaricare la tensione. Basteranno le pressioni addosso al City, piaccia o non piaccia a Pep, a consegnare qualche speranza in più all’Inter? Forse no, perché non sono mai stati così forti, eppure forti lo sono da tanti anni. Tuttavia, se la partita dovesse rimanere in equilibrio più del previsto, magari i vecchi fantasmi torneranno a bussare alla porta. Dei Citizens, ma anche di Guardiola, che già una volta contro l’Inter partì favorito e non gli andò bene: l’ossessione sua e del Barcellona si schiantò amaramente contro la forza di un sogno.
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