Giorni interi a leggere che Erling Haaland ci avrebbe fatto un mazzo così. Che il gigante norvegese avrebbe fatto faville in mezzo a una difesa di pippe come Acerbi, Bastoni e Darmian. E invece, nella notte di Istanbul, “in mezzo a questa pletora di scintillanti campioni – scrive il quotidiano Libero – ha giocato una partita intensa e priva di errori grossolani un ragazzo di 35 anni, proprio lui, Francesco Acerbi che ha avuto il compito più ingrato: quello di controllare come un poliziotto il gigante Haaland, mister 200 milioni, alla fine laureatosi anche capocannoniere della Champions grazie ai 12 gol realizzati in 11 partite.
Lo ha fatto come uno stopper degli anni ’70, senza lasciargli troppo spazio, senza fare follie. Dimentico, per la sua serata sfortunata ma non per questo meno magica, di tutti gli angoli ciechi incontrati nel corso della sua carriera: il cancro ai testicoli che una decina di anni fa lo poteva costringere al ritiro e i mesi in cui era stato squalificato per una strana storia di doping. Nato a Vizzolo Predabissi, un paesino di 3000 anime della cintura milanese, Acerbi ha giocato la sua prima finale di Champions della vita. Lo ha fatto con umiltà, ben sapendo di non avere i piedi e neppure il talento delle tante stelle che erano accanto a lui sul prato dello stadio Ataturk. In un paio di occasioni ha fatto due chiusure decisive. E non importa se il City si è portato a casa la coppa grazie a una fucilata di Rodri sulla quale Acerbi nulla poteva fare. La sua personalissima Champions il nostro eroe della porta accanto l’aveva già vinta. Da campione vero, da uomo vero”.