L’avvicinamento alla finale di Champions League era stato scandito da tanti concetti improntati al realismo, dettati dalla consapevolezza che di fronte ci fosse la squadra più forte al mondo. Fra questi, uno dei più ribaditi era “dovremo tornare senza rimpianti“. Ecco, qui l’Inter ha fallito. Il bagaglio con cui è salita sul diretto Istanbul-Milano eccedeva le dimensioni consentite: arrivava a una tonnellata, di rimpianti.
Ma non si tratta di quelli che derivano dall’impegno profuso, dallo spirito, dalla coesione. Quella ieri sera, anche ieri sera, non è mancata e anzi l’Inter ha dato il meglio di se stessa come squadra, dimostrando all’Europa intera perché sia arrivata a giocarsi la partita più importante dell’anno. I rimpianti di cui parliamo sono invece i più inaspettati alla vigilia, quelli che nascono dalle numerose occasioni fallite, dalle scelte errate, dai centimetri in più o in meno che in notti come queste scandiscono gli epiloghi e scrivono le storie.
Rose, valori di mercato e spese alla mano non doveva esserci partita. Non solo la partita c’è stata, ma meritava addirittura l’Inter. Altro che dominio City, altro che pallottoliere, altro che finale già scritta. A fine partita, Guardiola ha ammesso candidamente che il vento spingeva forte verso i suoi, contro “questa Inter sensazionale“. I dati lo confermano: sono 7 i tiri totali del City, 14 quelli dell’Inter. I nerazzurri non hanno fatto il catenaccio, anzi, a tratti hanno dominato la gara.
Difficile rendersene conto quando ancora delusione e tristezza sono infinite, difficile pure accettare di aver perso. Qualcuno afferma che “era meglio essere battuti nettamente“. Da un lato, se assumiamo la prospettiva del tifoso, è vero: andare a letto con la consapevolezza di un avversario troppo superiore sarebbe stato più facile, avrebbe aiutato a prendere sonno e non ad arrovellarsi per i rimpalli, il colpo di testa di Lukaku, la scelta di Lautaro e pure quella di Brozovic nel primo tempo, quando non ha servito Barella lanciato da solo alla sua destra. Dall’altro, se guardiamo all’immagine che questa gara planetaria consegna all’Europa, prevale l’orgoglio. Tantissimo orgoglio.
È l’orgoglio di una squadra considerata spacciata già ai sorteggi, capace invece di disputare una Champions League che non dimenticheremo mai e di far tremare il Manchester City, ridurre un maniaco dell’organizzazione come Guardiola a invocare le divinità inginocchiato sul campo, pur di non subire gol. L’Inter ha giocato una grande finale, pur non disponendo di alcun giocatore che ne avesse disputata una in carriera. E se lo spirito è stato fenomenale, forse il peso della partita si è invece avvertito in quegli ultimi metri, in un po’ di frenesia tipica di chi non si è mai affacciato su palcoscenici così prestigiosi, nell’ansia di fare la scelta giusta perché ieri bastava una scelta, appunto, per cambiare la storia.
Che rimane epica, come il viaggio che l’ha generata, perché nessuno si aspettava di essere qui, 11 giugno 2023, a rimpiangere quei momenti, quegli attimi che non hanno permesso all’Inter di sollevare la sua quarta Champions League. La meritava, eccome se la meritava. E noi saremo per sempre fieri di voi.
Da questi due mesi che non dimenticheremo mai e da tutti i grandi messaggi che li hanno accompagnati, da tutte le dimostrazioni che abbiamo lanciato e incassato. Da un’ossatura di squadra solida composta da gente come Onana (che nessuno si azzardi a cederlo…), Bastoni, Dimarco, Barella, Lautaro: calciatori che hanno messo in chiaro di poter stare a certi livelli e che con l’esperienza di una finale di Champions League – anche persa – sicuramente trarranno benefici per il futuro. E lo stesso vale per il resto del gruppo.
Ripartiamo, poi, con la consapevolezza che il nostro tifo è il migliore al mondo e ieri lo abbiamo dimostrato ancora, eccome. Laddove altri tifosi di squadre italiane, dopo le loro finali di Champions League, sprofondavano nella vergogna mentre abbandonavano le piazze, i tifosi dell’Inter hanno cantato e reso onore alla propria squadra: lo hanno fatto a Istanbul sventolando le proprie bandiere, a San Siro, in Piazza Duomo e chi non lo ha fatto fisicamente lo ha fatto idealmente, nerazzurri di tutto il mondo. Perché tutti quei chilometri non saranno mai un peso, ma un orgoglio, un dono, un incontro d’amore. Di quelli che a 20, 40, 60 o 80 anni fanno ancora battere il cuore come se fosse la prima volta. Ci rivediamo ad agosto, per amarla ancora.