Un accordo totale raggiunto fra Inter e Al Nassr, un trasferimento che sembrava fatto. Poi lo scenario è gradualmente cambiato fin da lunedì, quando Marcelo Brozovic ha cominciato il suo personale show sui social media facendo capire a tutti che l’affare non fosse affatto chiuso. Perché mancava (e manca) la cosa più importante: il suo ok al trasferimento.
Ora, non sappiamo come siano andate effettivamente le cose. C’è stata, probabilmente, una mancanza di comunicazione fra il croato e il club nerazzurro che ha inceppato le dinamiche. L’unica cosa che sembra davvero chiara, in questa vicenda che sta diventando sempre più grottesca e che ha ormai assunto pericolosamente le sembianze di una telenovela, è che i post e le stories provocatorie di Brozovic abbiano un destinatario ben preciso: la dirigenza e la proprietà nerazzurra.
Qui non vogliamo schierarci né dall’una né dall’altra parte, ma semplicemente invitare a riflettere sul fatto che quanto sta accadendo sia tutto meno che una buona notizia per l’Inter e anche per i suoi tifosi, molti dei quali assistono divertiti al teatrino limitandosi a strillare virtualmente “bravo Epic, sei un grande, resta!“. Un esercizio di superficialità e infantilismo.
Da due anni l’Inter è molto sensibile (eufemismo) al tema cessioni. Se in alcuni casi, come per Hakimi e in buona parte Lukaku, la necessità era semplicemente finanziaria e i fondi reinvestiti per sostituirli parlano chiaro in tal senso, con Brozovic ci troviamo invece di fronte a un insieme di fattori. Possiamo racchiuderli in tre macro-temi: motivazioni comportamentali; motivazioni tecniche; costi ed età. Analizziamoli uno per uno.
1) Marcelo Brozovic – come stiamo vedendo anche in questi giorni – è un personaggio sopra le righe. Questo da un lato suscita l’amore dei tifosi che spesso si affezionano alla follia dei propri beniamini e la cosa viene più facile quando il calciatore in questione è molto forte, come Brozovic. Tuttavia, si vocifera che alcuni eccessi del croato non siano mai stati particolarmente congeniali ad una parte della dirigenza, vedi Beppe Marotta che fa della “cultura del lavoro” uno dei principi cardine su cui innesta la sua ricerca e gestione dei calciatori.
Il rapporto, inoltre, si è notevolmente incrinato in merito alla gestione dell’infortunio da parte del croato, prima e dopo il Mondiale. L’impressione netta, in Viale della Liberazione, è stata che Brozo si sia risparmiato nella seconda metà di ottobre e all’inizio di novembre proprio per arrivare al massimo in Qatar, dove infatti ha giocato tantissimo e con continuità, prima del nuovo stop in semifinale contro l’Argentina. E a proposito di Argentina, la cosa stride se paragonata alla professionalità di Lautaro Martinez, arrivato in Qatar con un dolore alla caviglia sul quale aveva giocato sopra, con la maglia dell’Inter, e che gli è costato il posto da titolare al Mondiale. Al rientro, inoltre, l’autonomia manifestata dal croato in merito alle modalità di recupero, in buona parte non concordate con lo staff medico dell’Inter, non è piaciuta affatto. Risultato? Brozovic è tornato a pieno regime solo in primavera, inizialmente con prestazioni sotto tono e poi nuovamente attestatesi ai suoi (alti) livelli.
2) Se nel 2021-22 l’Inter aveva sviluppato una dipendenza totale dal suo numero 77, l’anno scorso è avvenuta una svolta. Il lungo periodo di stop ha permesso a Inzaghi e al club di capire che c’è vita oltre Brozovic, grazie alla formula vincente Calhanoglu regista + Mkhitaryan mezzala sinistra. La migliore versione dei nerazzurri si è vista con questo assetto, che tra le altre cose ha condotto la Beneamata fino a Istanbul, dove ha giocato (bene) il croato per via dell’assenza dell’armeno, mentre il turco è tornato a interpretare (male, peggior prestazione dell’anno) il ruolo di mezzala sinistra.
La finale di Champions League ha confermato una sensazione forte già nell’aria: fra Brozovic e Calhanoglu, uno è di troppo. Perché Hakan rende meglio nel ruolo di centrale, perché in campo – dopo il ritorno del croato – i due spesso si sono pestati i piedi e l’arma del doppio regista è spesso a doppio taglio: serve in determinati tipi di partite, particolarmente quelle in cui si affrontano difese molto chiuse, meno quandoc’è da correre all’indietro e ribaltare il campo con rapidità. Caratteristiche che chiamano in causa il giocatore con cui, nei piani interisti, Brozovic andrebbe sostituito.
Davide Frattesi è l’identikit della tipica mezzala moderna che potrebbe riequilibrare il centrocampo dell’Inter. Al momento, infatti, ci sono tre registi (Brozovic, Calhanoglu e Asllani) e due mezzali (Barella e Mkhitaryan). Nel primo ruolo, come detto, c’è sovrabbondanza. Da qui la scelta di sacrificare uno dei tre.
3) Eccoci a ragionare di costi e di età. Fra le esigenze dell’Inter in questa sessione di mercato c’è quella di svecchiare la rosa e di abbassare il monte ingaggi: unire a questa impellenza una chiave tecnica è la cosa più intelligente e ovvia. Asllani è un profilo giovane sul quale l’Inter ha investito 14 milioni ed evidentemente punta per il futuro, ma con Brozovic e Calhanoglu in rosa è destinato a vedere il campo come quest’anno: poco, pochissimo. Sarebbe la terza scelta. Renderlo invece il vice del turco o del croato gli garantirebbe di emergere.
Per tutte le motivazioni espresse prima, la scelta è ricaduta sul numero 77 piuttosto che sul 20. Conta l’impressione di un ciclo che abbia fatto il suo corso (otto anni e mezzo di onorata militanza), contano le cose che abbiamo raccontato finora, ma contano anche i due anni in più di Brozo, un rinnovo solo da ufficializzare di Calha e un discorso di ingaggio. Il croato al momento, senza Lukaku in rosa, sarebbe il più pagato del gruppo con 6,5 milioni netti annuali. E questa è forse l’ultima occasione di monetizzare dalla cessione di un calciatore di 31 anni. La differenza tra i 6,5 percepiti da Brozo e i 2,5 chiesti da Frattesi è pesante, fortemente impattante sulle casse societarie.
E allora no, non è una buona notizia. Non lo è perché questa volta la strategia dell’Inter ha un senso che è pure tecnico e non solo economico, con il quale si può essere più o meno d’accordo, ma c’è un piano che sta saltando e che sta bloccando il mercato. E come sappiamo nessuno aspetta nessuno, giustamente: ce lo ha insegnato Bremer, ma anche Vicario quest’anno e potrebbe ricordarcelo di nuovo Frattesi.
Non è una buona notizia perché i teatrini pubblici sono sempre da evitare, in un club serio come deve essere l’Inter. Esporre le problematiche e le dinamiche interne alla mercé di tutti non è una cosa positiva, fa il male del club, può creare malumori e dissapori anche all’interno del gruppo squadra, può costituire pericolose fazioni.
Non è una buona notizia, in fondo, perché dovremmo avere imparato la lezione da Skriniar. Nel momento in cui metti un giocatore sul mercato come è successo lo scorso anno con lo slovacco, a quel punto lo devi vendere, non puoi fare le cose a metà. Cosa succederebbe se Brozovic rimanesse? Magari nulla, continuerebbe a mettere in fila ottime prestazioni. O magari qualche effetto collaterale ci sarebbe: niente addii a zero perché c’è un contratto che vale, ma siamo sicuri che un rapporto sfilacciato (o peggio…) con il club non impatterebbe sul campo?
E allora l’Inter e Brozovic sono arrivati a un punto di non ritorno: devono lasciarsi. E poco contano, in questo contesto, le proteste della piazza e dei tifosi. Anche perché parliamo di un grande regista che però, come visto abbondantemente quest’anno, può essere sostituito trovando nuovi meccanismi e rinnovando. È bene che anche gli addetti ai lavori più influenti e più vicini al mondo Inter se lo mettano in testa: l’Inter non sta cedendo Messi.