Quattro vittorie su quattro nel 2023, senza subire gol: la quinta affermazione consecutiva non è (era) mai arrivata nella storia dell’Inter. Stavolta vincono loro, dai, è la legge dei grandi numeri che comanda. E poi la cabala, ecco, la cabala: il derby di sabato pomeriggio alle 18, dopo la sosta! Di recente, si ricordano solo sconfitte: il 2-1 firmato Ibrahimovic nell’anno del tricolore nerazzurro, il 2-1 della rimonta Scudetto di Giroud, il 3-2 dell’anno scorso all’andata. Insomma, niente da fare dai: tutto dice (diceva) che l’incantesimo sia destinato ad interrompersi.
E invece non è solo arrivata un’altra vittoria, perché il termine “vittoria” non basta a descrivere ciò che i tifosi dell’Inter hanno provato e ancora provano. È stato un trionfo, un massacro, qualcosa di storico: è stato il derby che sogni la notte prima. Poi ti svegli e non fai neppure in tempo a ripercorrere la magnifica esperienza onirica, perché è il giorno della partita e della sofferenza, quella vera. No, a San Siro l’onirico e la realtà si sono fuse e hanno dato vita a una delle esperienze più belle nella vita di un tifoso, a un 5-1 che rimarrà negli annali non solo per il divario testimoniato dal risultato e dalle prestazioni, ma per il valore simbolico che ha quel numero. I 5 gol dell’Inter, quei 5 urli attestano la vittoria consecutiva numero 5 nella stracittadina: Milan-Inter 0-3, Inter-Milan 1-0, Milan-Inter 0-2, Inter-Milan 1-0, Inter-Milan 5-1. Storia è fatta, destino è compiuto. Pazienza per la rete che ha sporcato la casella dei gol subiti in campionato: la barattiamo volentieri con un risultato così ampio.
Inzaghi azzecca tutto: è un capolavoro!
Si è parlato tanto, in queste due lunghe settimane, di uomini derby da una parte e dall’altra. L’impressione, però, è che il vero uomo derby ce l’abbia l’Inter e non in campo, ma in panchina: dopo un inizio stentato con zero vittorie in campionato nelle prime tre stracittadine, dopo la beffa dello Scudetto perso, Simone Inzaghi se l’è legata al dito e ogni volta che affronta il Milan riesce a sfoderare tutto il meglio del suo repertorio alla voce, consultata e comprovata, “preparazione delle partite secche”. Se già l’anno scorso la superiorità era apparsa schiacciante, il piacentino ha nuovamente disintegrato Pioli. Proprio quel Pioli che aveva fatto il gradasso nella conferenza del giorno prima, dimenticandosi dei derby persi, dicendo di non averli neanche guardati (forse è questa una delle chiavi dell’insuccesso, Stefano…) e citando con aria dispettosa e impettita lo Scudetto vinto nel 2022.
Inzaghi ha vinto nella preparazione tattica, certo. Ha vinto nelle sostituzioni, sicuramente. Ma ha vinto anche nelle scelte iniziali di formazione, prendendosi dei rischi che oggi non avvertiamo come tali ma, pensando a un’eventuale sconfitta, sarebbero stati i primi motivi di critica. Due su tutti: Acerbi in campo e non De Vrij, Mkhitaryan titolare e Frattesi in panchina. Il difensore classe 1988 è sì reduce da una stagione meravigliosa, ma non giocava dal 10 giugno scorso e veniva da un infortunio. L’olandese aveva offerto ampie garanzie in questo inizio di stagione. E invece no, Inzaghi si prende il rischio, gioca e vince: Giroud nuovamente annullato, come sempre da quando davanti ha Acerbi.
E poi c’è l’armeno. Chi conosce Inzaghi e dovremmo conoscerlo un po’ tutti, giunti al terzo anno, sa che neppure quattro gol di Frattesi all’Ucraina sarebbero bastati per togliere dal campo Mkhitaryan nel derby. L’ex Roma è stato fra i pochissimi a rimanere ad Appiano durante la sosta: era non solo scontato, ma pure giusto che partisse titolare, senza ascoltare il desiderio popolare. La prova di Henrikh è stata ammaliante: partita totale, due gol fatti e anche l’assist. Per chi? Per Frattesi, ovvio.
La carica con cui il centrocampista romano è entrato in campo non solo ci conferma il suo enorme valore, ma è pure sintomo di uno spogliatoio che oggi è totalmente in mano a Inzaghi. In casi come questi, è facile incorrere in atteggiamenti sbagliati o svogliati. Frattesi, invece, era certamente arrabbiato per non essere sceso in campo dall’inizio, ma la sua attitudine adrenalinica è stata positiva al 100%: ci ha messo tutta la voglia possibile, ha litigato con Theo, Leao e Krunic, ha corso tantissimo, ha dispensato qualità e poi ha chiuso con la specialità della casa, ovvero l’inserimento rabbioso valso il gol del 5-1.
Un 9 che non si vedeva da tempo
Dicevamo della partita di Mkhitaryan, eletto – non a caso – migliore in campo dalla nostra community. L’armeno se l’è giocata con l’altro assoluto protagonista di questo derby: Marcus Thuram ha avuto un impatto devastante sulla prima sfida ai rivali cittadini e in generale sul nostro campionato.
Il francese è stato dominatore dal primo minuto. Ha fatto ammattire Thiaw che teoricamente, a livello fisico e atletico, doveva contenerlo. Sgusciava via da tutte le parti, è entrato nel gol dell’1-0 con una sgroppata, ha disegnato una meraviglia indimenticabile per il 2-0, ha protetto palla reggendo anche contro avversari strutturati come Loftus-Cheek, ha messo in mostra una qualità costante, incessante, in ogni situazione. Il feeling con il mondo Inter è ormai saldissimo, nonostante le sole quattro partite giocate: tutti si sono già innamorati di lui e tutti sperano che questo legame porti la Beneamata lontano.
A Marcus Thuram, che in origine doveva essere il primo cambio di Lukaku, è stato assegnato un numero di maglia importante: a molti è sembrato un azzardo, vista la pesante eredità di chi l’ha indossato nella storia. Oggi non solo si può dire gli calzi bene, ma che l’ex Borussia abbia tutto per diventare il miglior numero 9 dai tempi di Samuel Eto’o. No, non è un’esagerazione: significa comprendere le potenzialità di un giocatore. Se dovesse crescere ulteriormente sotto porta (e lo sta facendo: 3 gol tra Inter e Francia nelle ultime due settimane), diventerà un top assoluto. Una partecipazione al gioco e una tendenza ad associarsi con i compagni che Icardi si sognava; una tecnica individuale, nel passaggio e nel primo controllo, che è sempre stato il punto debole di Lukaku. Il tutto condito da colpi da fenomeno, perché la prodezza di ieri non puoi descriverla diversamente.
È “solo” un segnale
Ok, ci siamo spesi in elogi perché era giusto farlo, quando vinci la quarta partita di fila segnando 13 gol e subendone 1, infilandoci un 5-1 in un derby. Ma non è tempo di proclami, di volare con la fantasia e sentirsi già indiscutibilmente i più forti del campionato. L’Inter, e tutto l’ambiente Inter, devono evitare che la consapevolezza si trasformi in arroganza, perché questa squadra – quando è diventata arrogante – ci ha sempre rimesso le penne nei due anni precedenti.
I nerazzurri dovranno semplicemente continuare ad accogliere le note positive, a macinare punti e lanciare segnali, belli forti e chiari proprio come ieri. A metà settembre non si può fare altro, non ci si può proiettare troppo in avanti. Siamo sicuri che i messaggi siano arrivati a tutta la Serie A, non solo il 5-1 e le quattro vittorie, ma le modalità con le quali l’Inter le ha voracemente agguantate. Anche ieri, per esempio, ha rischiato pochissimo in fase difensiva (l’azione di Theo Hernandez e il gol di Leao). E ha fatto 5 gol senza che nei marcatori sia comparso Lautaro Martinez, bomber imprescindibile per questa squadra. Se non è un segnale questo…
Troppo importante, adesso, non farsi prendere dall’euforia. Ci sono 6 partite da affrontare fino al 7 ottobre, quando sarà tempo di nuova sosta: 4 di campionato, 2 di Champions League. Cominciano i ritmi folli, comincia il momento in cui si dovrà attingere all’intera rosa. Una nuova risposta sulla crescita di Simone Inzaghi ci attende: in passato spesso non ha gestito gli impegni ravvicinati nel migliore dei modi. Quest’anno l’organico è ampio e già nella scorsa primavera il tecnico è cresciuto tantissimo sotto questo aspetto, centrando i primi quattro posti in campionato mentre agguantava la finale di Champions League e vinceva la Coppa Italia. Se l’Inter dovesse superare il girone senza sacrificare il campionato e mantenendo il primato, potremo attestare una nuova, grande crescita. La Beneamata vuole danzare ancora fra le stelle europee, ma questo non dovrà distoglierla dall’inseguimento de “La Stella”.
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