Perdi col Sassuolo, vieni agganciato in classifica da chi hai battuto nettamente 5-1, poi giocano prima di te contro una delle squadre (teoricamente) di vertice, vincono 2-0 convincendo, ti superano, ti trovi a tre punti dalla vetta e hai l’obbligo di vincere eliminando le scorie della prima caduta stagionale. Devi farlo contro una squadra sulla carta nettamente inferiore, ma in uno stadio caldissimo nel quale l’anno scorso hai perso due punti all’ultimo secondo. Il tutto, concedendo riposo a quattro cardini come Bastoni, Dimarco, Mkhitaryan e Lautaro. Servono risposte.
Nel primo tempo, l’Inter le ha offerte a metà. L’approccio non può essere definito negativo, dal momento che i nerazzurri hanno creato diverse occasioni nella prima parte della gara: quella divorata da Sanchez, poi Dumfries, Carlos Augusto, il colpo di testa di Thuram. Ma la squadra di Inzaghi, col passare dei minuti, si è anche sfilacciata, concedendo possibilità ai padroni di casa e nello specifico a Kastanos e Cabral. Insomma, l’Inter è rientrata negli spogliatoi – all’intervallo – con in parte il rammarico per non aver concretizzato, ma anche con la sensazione di poter subire gol da un momento all’altro.
Il secondo tempo non è cominciato meglio del primo. Se il Milan co-capolista ha disputato una ripresa da squadra di alto livello, l’Inter era chiamata a rispondere e inizialmente non ci è riuscita. Un peso lo hanno avuto, anche nel primo tempo, le prove decisamente sotto tono di due titolari del centrocampo. Se Klaassen era all’esordio e non ci si poteva aspettare facesse la differenza subito (sebbene sia cresciuto col passare dei minuti), sorprendono invece le insufficienze di Calhanoglu e Barella, incapaci di dirigere l’impostazione e di dominare il centrocampo. Serviva, allora, una scossa di quelle veementi, capaci di cambiare l’inerzia di una partita che stava prendendo una brutta piega, alimentando le sensazioni negative.
Nel segno del capitano. Lautaro scaccia gli incubi
E chi se non lui, chi se non il numero 10 da Bahia Blanca? Perché va bene, la prova di Sanchez non è stata negativa, ma il cileno è sempre più trequartista e sempre meno attaccante: dà l’impressione di poter trovare il passaggio vincente da un momento all’altro, ma raramente è davvero pericoloso in zona gol. Due caratteristiche che invece unisce alla perfezione Lautaro Martinez, entrato al minuto 54 e capace di stabilire un record assoluto nella storia del calcio italiano.
4 gol in 39 minuti sono già un dato impressionante, che lo riconduce – sulla faccia del pianeta – ad attaccanti del calibro di Erling Haaland. Ma non solo. Nessuno, in Italia, era mai riuscito a siglare un poker entrando dalla panchina. In cinque avevano realizzato una tripletta: Anastasi (1975), Boateng (2011), Ilicic (2018), Cornelius (2019) e Belotti (2022). L’impressione, però, è che le parole di Lautaro non siano di facciata, quando dice che “i miei gol non contano, conta la vittoria“. Certo che è al settimo cielo per aver infranto i record, ma siamo sicuri lo sia ancora di più per il messaggio che ha trasmesso ai suoi compagni e all’intero campionato. Anche se sei il capitano e parti dalla panchina, anche se sei il giocatore più rappresentativo e più forte, l’atteggiamento con il quale scendi in campo deve rimanere immutato e devi fare (a maggior ragione) la differenza. Lautaro lo ha fatto. Bravo Inzaghi a inserirlo presto senza tergiversare, vista la situazione delicata.
E può sembrare esagerato parlare di “situazione delicata” al 30 settembre, così come affermare che Lautaro ha scacciato gli incubi. Qui però non ci riferiamo (soltanto) alla classifica e al secondo posto dove l’Inter sarebbe scivolata senza battere la Salernitana, ma all’andamento di una stagione. Non dimentichiamo che i nerazzurri sono reduci da un’annata spettacolare nelle coppe, ma anche da un cammino inaccettabile in campionato, con le 12 sconfitte (molte contro medio-piccole) che ancora gridano vendetta. Il ko casalingo con il Sassuolo rischiava (ha rischiato, e rischia ancora) di riaprire vecchie ferite e di favorire il nuovo costituirsi di una spirale negativa, nel quale l’Inter non deve e non può ricadere, per storia e per obiettivi stagionali. E allora grazie Lautaro, per aver fermato sul nascere ogni possibile ricaduta.
Adesso, però, si attendono risposte più convincenti da tutta la squadra, nel segno del capitano, perché è lui l’esempio, cosa che ogni capitano dovrebbe rappresentare. Ci sono due impegni a San Siro in arrivo, nei quali la vittoria sarà vitale. Prima col Benfica per ben indirizzare la situazione nel girone ed evitare spiacevoli patemi o sorprese, poi col Bologna di Thiago Motta. L’Inter che è arrivata alla sosta di settembre da prima in classifica (insieme al Milan) è chiamata a fare lo stesso in vista di quella di ottobre.
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