L’ANALISI – Per vincere in Champions adesso basta un’Inter “normale”. Ed è bellissimo così

C’è stato un tempo in cui l’Inter, per vincere le partite di Champions League, aveva bisogno di prestazioni eccezionali. Di 7, 8, 9 in pagella che fioccavano. C’era l’impressione di andare oltre i propri limiti, di fare qualcosa di stra-ordinario, appunto. La prima vittoria dopo il ritorno nella massima competizione europea, quella contro il Tottenham, e poi Eindhoven, persino il successo di Praga contro lo Slavia con Conte, o quella con il Borussia Monchengladbach di Thuram e Sommer. E i tre punti venivano accolti quasi come qualcosa di inaspettato, da celebrare e da ricordare.

Oggi non è più così. Triste? Mancanza di entusiasmo e di attaccamento? Assolutamente no, nulla di tutto questo. L’Inter è semplicemente entrata in un’altra dimensione. Quella più affine alla sua storia, d’altronde. Quella che le appartiene. In quella dimensione ci è ri-entrata. Quella in cui accoglie le vittorie europee come qualcosa di normale, con soddisfazione e serenità, ricorrendo addirittura al turnover e permettendosi di risparmiare dal primo minuto calciatori come Barella, Dimarco o Thuram.

La nuova (o vecchia, come preferite) dimensione è stata consolidata nel momento in cui l’idea di qualificarsi per gli ottavi di finale ha smesso di essere un sogno, diventando qualcosa di obbligato, da esigere. È successo perché, con Simone Inzaghi, si è verificato un salto di qualità in ambito europeo. L’Inter è riuscita a passare la fase a gironi già al primo colpo con il tecnico piacentino, ma soprattutto ce l’ha fatta l’anno dopo, quando nessuno lo credeva possibile, nel momento in cui bisognava dividere e guadagnare il proprio spazio contro due mostri sacri del calcio mondiale come Bayern Monaco e Barcellona. E poi, ovviamente, quando si è resa protagonista di un percorso storico che l’ha portata a giocarsi la partita per club più importante dell’anno, lo scorso 10 giugno a Istanbul.

Vince un’Inter “normale”

Quando si verificano queste condizioni, succede allora che tu non abbia più bisogno di fare prestazioni pazzesche per vincere in Europa. Tutt’altro, perché quella vista contro il Salisburgo non è stata un’Inter scintillante. Eppure era una partita decisiva, da vincere a tutti i costi per indirizzare il girone e avvicinarsi sensibilmente alla qualificazione. Non ha approcciato bene, la squadra di Inzaghi, che ha tremato subito e ci ha messo un quarto d’ora abbondante per prendere le misure ai ragazzi terribili di Struber.

Poi, però, è subentrato un po’ di sano cinismo, da grande squadra: l’Inter è passata al primo vero affondo con la zampata di Alexis Sanchez, tornato al gol in Champions League a un anno di distanza dall’ultima volta, la prima della sua seconda vita nerazzurra. La Beneamata ha colto il momento di debolezza dell’avversario e ha provato ad azzannare, senza riuscire però a segnare il 2-0. Poteva essere un qualcosa di imperdonabile, se pensiamo al gol fallito da Carlos Augusto cui è seguito, dopo pochi istanti, il pareggio di Gloukh.

Niente di tutto questo, perché lì è arrivata la reazione che ci si attendeva: il rigore procurato da Frattesi, la solita freddezza di Calhanoglu e poi anche la resistenza finale, con la sacrosanta umiltà che deve caratterizzare partite del genere. Il simbolo, in questo senso, è stato Matteo Darmian, subentrato al 65′ e protagonista di interventi e chiusure provvidenziali nel rovente finale di gara.

La prova dell’Inter, sia chiaro, non è stata esente da difetti. La fase difensiva desta un po’ di preoccupazione, perché troppo spesso si sono creati dei buchi (specialmente per vie centrali), perché si è verificata la tendenza a sbilanciarsi eccessivamente anche in situazione di vantaggio, perché il gol di Gloukh ha ricordato sinistramente quello di Zirkzee. Inzaghi dovrà lavorarci. Eppure, nonostante un Lautaro lontano dalle sue serate migliori, un Thuram inizialmente in panchina e poco coinvolto una volta entrato, un Frattesi che può ancora crescere, un Bastoni disattento, un Barella lontano dai suoi livelli, un’imprecisione diffusa, l’Inter ha vinto. O meglio, ha vinto un’Inter “normale”, senza eccellere in nulla.

Si tratta di tre punti decisivi, perché adesso i nerazzurri – visto il successo della Real Sociedad a Lisbona – avranno a disposizione il primo match point qualificazione già l’8 novembre in Austria, ancora contro il Salisburgo. Vincere significherebbe approdare matematicamente agli ottavi di finale, ottenere gli incassi della UEFA e conquistarsi il diritto di partecipare al nuovo Mondiale per Club in programma nell’estate del 2025 (a proposito di ricavi…). Vincere significherebbe, inoltre, raggiungere l’obiettivo minimo. Minimo, appunto. Significa non festeggiare per il passaggio del girone. Perché la normalità non si festeggia. Ed è bellissimo così.

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