Questa partita non è durata 100 minuti. È stata partorita lo scorso 14 luglio, precisamente nella notte, quando un uomo belga ha spiazzato, anzi tradito tutti: una tifoseria che lo aveva amato forse più del dovuto, una dirigenza che in un periodo di ristrettezze economiche si era spinta fino a 40 milioni per il cartellino di un trentenne, un allenatore che in lui credeva, dei compagni che di lui si fidavano. Questa sfida è durata tre mesi e mezzo, è stata infinita, ci si è arrivati con un carico di tensione elevatissimo.
Sta proprio qui, però, la grandezza e la maturità di questa Inter. Il timore, almeno per chi ne ha vista qualcuna, era che tutta la squadra si concentrasse sul numero 90 avversario, sottovalutando inevitabilmente gli altri oppure facendosi sopraffare dalla voglia di rivalsa, venendo meno alla prestazione che serviva per battere la Roma. Niente di tutto questo: l’attesa della partita si è trasformata in carica agonistica straripante, la superiorità tecnica di base è stata portata all’eccesso, dando vita a una supremazia raramente vista prima, in sfide di questo livello.
L’Inter ha letteralmente dominato, dall’inizio alla fine. Il problema è che, quando senti di essere così più forte, quando fai così tanto in più dell’avversario e vedi quel maledetto punteggio ancora ancorato sullo 0-0, e con lui i minuti che passano sempre più veloce, puoi incorrere nel nervosismo, nella frenesia, perdendo così lucidità in fase offensiva e pure in quella difensiva, rischiando di perderla. La squadra di Inzaghi, invece, ha avuto pazienza fino a trovare il momento giusto, quello simbolico, quello che permette definitivamente al popolo interista di voltare pagina.
Inter-Lukaku, ora è davvero finita
C’è l’influenza del destino, se pensiamo al marcatore. Il confronto attesissimo, quello che ha riempito prime pagine e dibattiti social nelle settimane di avvicinamento a questa partita, era senza dubbio rappresentato dalla ex Lu-La, giunta alla resa dei conti finale e alla prima partita da avversari. Alla fine non ha brillato nessuno dei due e a prendersi la scena è stato un calciatore che della sottovalutazione nei suoi confronti ha fatto un punto di forza, una molla motivazionale fin da quando è arrivato ad Appiano Gentile.
Doveva essere, nei piani della dirigenza, la prima alternativa alla coppia d’attacco formata del belga e dall’argentino. Doveva lasciare il numero 9 a quello che prima era numero 90 e, in questo senso, è giusto ricordare che il 9 gli è stato “concesso” solo nel momento in cui il 90 si è reso irreperibile per amici, compagni e dirigenti. Non ha mai perso la fiducia, Marcus Thuram, dimostrando fin dalla prima giornata di essere un calciatore eccezionale, per certi versi più completo di Lukaku, ma soprattutto più decisivo quando conta. E non ci voleva moltissimo, vero. Però è sintomo di una personalità importante che, se abbinata a mezzi tecnici come i suoi, può renderlo veramente un giocatore fantastico che a questa squadra può regalare un sogno. Thuram ha scritto la parola fine sulla storia fra l’Inter e Lukaku e lo ha fatto perché in lui si intravedono le potenzialità per scriverne una migliore.
Fischietti, tanto rumore per nulla…
Per “rumore”, qui ci atteniamo sia al senso astratto che a quello letterale. Partiamo dal primo. Si è parlato tanto dell’iniziativa relativa ai 30.000 fischietti, prima acconsentiti e poi vietati per non si sa quale spaventoso pericolo intravisto. O meglio, probabilmente c’è stato lo zampino (o zampone) romano, che ha colto la fragilità emotiva di Lukaku e ha provato a proteggerlo, appigliandosi all’art. 62 e al possibile intralcio con il fischietto dell’arbitro Maresca. Ridicolo, assolutamente ridicolo.
Così come ridicoli sono stati i tentativi di Mourinho e Tiago Pinto di equiparare la situazione Lukaku a quella di vicende passate. Come se il problema fosse rappresentato dal trasferimento Inter-Roma e non dalle modalità con il quale si è consumato. Sì, perché Lukaku sarebbe stato accolto allo stesso identico modo anche se avesse vestito la maglia di una squadra straniera. Ci hanno fatto la morale, l’allenatore e il dirigente della Roma, insieme a qualche direttore di giornale limitrofo, affannandosi a dimostrare maldestramente perché i tifosi dell’Inter siano brutti, cattivi, insensibili, crudeli, efferati. E se dal direttore di giornale (che forse dovrebbe dedicarsi a giudicare i passi di ballo, piuttosto che lo sport) e da Tiago Pinto ce lo saremmo aspettati, una simile mancanza di rispetto da chi qui ha scritto la storia è stata francamente sgradevole. Questa vittoria è dedicata anche a loro e a tutta la seconda squadra della Capitale.
Veniamo, poi, al senso letterale. Beh, qui verrebbe da dire: tanta spesa, poca resa. E non ci riferiamo solo alla cospicua quantità di fischietti che è andata perduta, sequestrata ai tornelli. Il “problema” è rinvenibile proprio nell’effettivo utilizzo, scarso. Non puoi fischiare troppo, se il destinatario non vede la palla. E così, a un certo punto, i tifosi dell’Inter hanno cominciato a fare rumore quando la palla si avvicinava a Lukaku, non quando ce l’aveva fra i piedi e, spesso e volentieri, la maltrattava. Non alle temute sgroppate, ma al sombrero che ha ricevuto da Bastoni. Tanto rumore per (il) nulla.
Chiudiamo con una nota importante. C’era il timore che si scadesse nel becero razzismo, non è successo. L’Inter ha rispettato la sua storia, i suoi principi, e con lei l’hanno fatto i suoi tifosi: non solo vincere (non sarà mai l’unica cosa che conta), ma farlo con merito, in campo e fuori. Per questo è il club più bello del mondo.
Lascia un commento