Darmian: “Vorrei chiudere la carriera all’Inter. Lautaro capitano perfetto, Inzaghi ci da tranquillità”

Matteo Darmian, difensore dell’Inter, in una lunga intervista alla radio della Lega Serie A ha parlato del suo passato ripercorrendo l’inizio della carriera fino ad arrivare al presente. Il jolly nerazzurro ha svelato anche il suo sogno per il futuro: di seguito le dichiarazioni complete.

RESCALDINI, PAESE DI NASCITA – «È un piccolo paesino in cui sono cresciuto, ci torno spesso e volentieri. È bello tornare alle origini, rivedere amici storici con cui condivido tanto. Il mio sogno era fare il calciatore? Sì, come tutti i bambini. All’inizio per me era passione e divertimento, ci trovavamo in oratorio tutti i giorni a giocare da mattina a sera. Era un sogno che con tanti sacrifici e tanto lavoro è diventato realtà. Grazie al calcio in oratorio si imparava a stare insieme, a condividere la passione, era un momento di aggregazione e di piacere. È bello ricordarlo perché da lì è partito tutto. Erano giornate passate a rincorrere un pallone, spensierati e senza pressioni. Marco Simone? Suo fratello mi allenava insieme a mio papà, c’era un bel rapporto con tutta la famiglia. È stato un grande calciatore da cui prendere ispirazione, ma quando sei bambino non pensi ai paragoni: sei talmente piccolo che pensi solo a divertirti. Nel 2014 ho portato il gagliardetto della mia squadra dell’oratorio come portafortuna, era la mia prima volta in Nazionale, è stato bello anche se non è andata bene. Che squadra tifa mio papà? Fiorentina, non mi ha trasmesso la fede per la squadra, ma la passione per il pallone. Da dov’è nato il mio “interismo”? È nato tutto da piccolo, con gli amici».

GIOVANILI MILAN – «Mi visionarono durante alcune partite e feci un provino, riuscendo a entrare nel settore giovanile. Posso solo che ringraziarli perché è stato un percorso di vita, oltre che calcistico. Non fui l’unico a presentarmi a quel provino, eravamo in quattro e inizialmente sono stato preso solo io. Essere lì con i miei compagni era come fare un normale allenamento per me, soltanto in un altro luogo. Ci fecero un questionario in sala riunioni, chiesero di dire a ognuno di noi di dire il proprio idolo. Il mio era Clarence Seedorf, che al tempo giocava all’Inter. Le altre domande erano di ogni tipo, per sapere come andassimo a scuola o cosa volessimo fare da grandi. Cosa risposi? Che volevo fare il pizzaiolo. Seedorf era un professore dentro e fuori dal campo, quando l’ho conosciuto al Milan era esattamente come me l’aspettavo, non risparmiava consigli, non solo a me, ma a tutti i ragazzi giovani. Del periodo milanista ricordo tutto con piacere, le esperienze ti formano facendoti crescere, per me il settore giovanile del Milan è stata una scuola di vita, mi ha insegnato a stare in un gruppo e a seguire delle regole, mi ha dato tanta disciplina. La prima squadra del Milan era forte, non potevo giocare e dimostrare il mio valore. La scelta condivisa è stata quella di muovermi per iniziare un percorso calcistico».

PALERMO E TORINO – «Della Sicilia mi è rimasto tantissimo, era il mio primo vero anno in Serie A. Era una squadra forte, abbiamo giocato l’Europa League arrivando anche in finale di Coppa Italia, era una squadra di valore. Mi sono confrontato realmente con la Serie A nonostante non giocassi tanto, ma è stata un’esperienza che mi è servita moltissimo. A Torino ho trovato tante cose, la fiducia di un allenatore, della società, dei tifosi: cose che mi hanno permesso di crescere e avere fiducia in me stesso e nei miei mezzi. Come si allena la normalità? Ho sempre cercato di essere me stesso in tutto quello che faccio, una persona con valori dentro e fuori dal campo per essere un esempio. Sono un ragazzo molto pacato, mi piace esserlo in un mondo in cui fa notizia esserlo. Se mi ha mai creato problemi questa normalità? No, può essere un valore aggiunto essere sé stessi in ogni contesto».

MANCHESTER UNITED – «Ho scelto Manchester e l’Inghilterra perché volevo confrontarmi con una realtà nuova. A oggi sono molto orgoglioso di quello che ho fatto: ero entusiasta di quel trasferimento e oggi posso dire di essere orgoglioso di ciò che ho fatto. È uno dei campionati, se non il più importante del mondo, pieno di grandi campioni. Mourinho? Con Josè ho sempre avuto un buon rapporto, penso che mi abbia sempre preso in considerazione in quegli anni, poi com’è giusto che sia gli allenatori devono fare delle scelte e io le ho sempre rispettate. Tra noi c’era un rapporto sincero, erano scelte che doveva fare e in quel momento preferiva altri giocatori. Abbiamo parlato di Inter? Qualche volta, essendo io italiano capitava che parlassimo di Inter. I suoi erano bei ricordi, era bello sentirlo parlare di quell’Inter che aveva scritto la storia».

RITORNO IN ITALIA – «Se c’era sfiducia nei miei confronti? Non mi dava fastidio, io ho sempre creduto in me stesso e nelle mie qualità cercando di dare il massimo negli allenamenti così come in partita. Non sono un tipo di giocatore che cattura l’occhio del tifoso per giocate o gol, quello che viene apprezzato è che cerco di dare il massimo in ogni situazione. Non faccio giocate appariscenti, nell’arco della partita cerco di fare sempre quelle più opportune, poi capita anche di sbagliare».

CONTE – «Ci siamo sentiti prima del mio arrivo a Milano. Mi aveva detto del ruolo che avrebbe voluto farmi fare. Era il periodo post covid, è stato tutto rimandato e sono arrivato dopo la terza giornata, durante la sosta per la nazionale. Ricordo il momento esatto in cui sono diventato un calciatore dell’Inter, quando sono entrato ad Appiano il primo giorno dopo la firma del contratto. È stato molto emozionante per me, quando si inizia un nuovo capitolo cerco di avere sempre un approccio positivo. Antonio Conte per me è stato un allenatore molto importante, mi ha permesso di vincere: il mio primo anno di Inter è coinciso con la vittoria dello scudetto, posso solo che ringraziarlo. Euro 2016? È stato un percorso importante, la sensazione era che quella nazionale avrebbe potuto giocarsela con tutti».

INTER «Scetticismo dei tifosi? Io sono sempre rimasto me stesso, consapevole del mio valore. Come ho detto dal primo giorno, ho sempre cercato di lavorare tanto mettendomi a disposizione della squadra per raggiungere gli obiettivi stagionali. “Interismo” è passione, vuol dire essere parte di una famiglia e di un progetto importante, sempre pronto a dare tutto per la causa. Episodio fondamentale per vincere lo scudetto 2020/21? Ricordo all’inizio della stagione, alti e bassi con qualche risultato deludente. La svolta è arrivata da Sassuolo, dove abbiamo vinto 0-3. Durante la settimana ci eravamo detti in riunione che per vincere avremmo dovuto essere noi stessi, da lì è partita la scalata che ci ha permesso di vincere. In quella riunione abbiamo parlato tutti, si deduceva la voglia che aveva la squadra di fare qualcosa di importante. Lo scudetto è qualcosa di speciale, vincere non è mai facile, tutto quello che c’è dietro è lavoro e sacrificio. Sono le parole importanti per l’Inter di oggi? Sì, anche se c’è tanto oltre questo, siamo un grande gruppo: traspare quando giochiamo, nei momenti di difficoltà penso si noti la sintonia tra di noi. La miscela perfetta è stata la partenza di Achraf Hakimi e l’arrivo di Simone Inzaghi? Quando vanno via giocatori importanti come lo era Hakimi non è mai facile. Con tanto lavoro, essendo stata brava anche la società, non abbiamo subito troppo le mancanze, ma abbiamo aggiunto pedine fondamentali».

INTER DI INZAGHI – «È una persona piacevole, oltre che un grande allenatore. Lo sta dimostrando, nel momento giusto riesce a dare quella serenità che a volte serve per lavorare meglio. Il periodo buio dell’anno scorso? In campionato abbiamo avuto tanti alti e bassi, non abbiamo avuto la continuità che ci voleva. Siamo una squadra forte, siamo sempre stati uniti, nella seconda parte di stagione sono usciti i nostri valori e abbiamo raggiunto la finale di Champions. Il campo ha dimostrato che eravamo tutt’altro che sfavoriti: quella è stata una sconfitta che ha fatto male, perché siamo arrivati a pochissimo dall’accarezzare un sogno. Ma anche le sconfitte possono insegnare e possono fare bene. L’ho rivista tante volte quella partita, purtroppo il finale non si può cambiare. Più la si guarda più si ha la consapevolezza dell’aver fatto una grande partita. Io capitano dell’Inter? È stato un momento piacevole, che ha ripagato sacrifici e sforzi fatti sin da bambino. Chi è il capitano perfetto? Cito Javier Zanetti e Lautaro Martinez, che ad oggi è un capitano giusto, tosto: penso che si sia preso questa responsabilità nella maniera giusta, l’ha responsabilizzato di più e sta dimostrando di essere perfetto per questo ruolo».

SOGNO SECONDA STELLA – «Vincere non è mai scontato, è difficile. Sarebbe un traguardo importantissimo e ancora più emozionante raggiungendo la seconda stella. Vincerla prima del Milan? Pensiamo a noi stessi e a raggiungere i nostri obiettivi. Quando indossi una maglia così importante hai sempre una grande responsabilità che richiede tanto sforzo. Vincere è l’unico modo per essere ricordati, vincere lo scudetto della seconda stella sarebbe qualcosa di straordinario. Tre momenti nel mio percorso all’Inter? Potrei citare i gol che ci hanno avvicinato allo scudetto del 2020/21, il momento della firma, il percorso che ci ha portato alla finale di Champions League. Ci sono stati tanti momenti, mi auguro che ce ne possano essere anche altri».

FUTURO – «Spero di continuare a vestire questa maglia per altri anni, per me è come una seconda famiglia. Arriverà il momento di smettere, non ho ancora pensato al mio futuro post calcio. Mi piacerebbe rimanere in questo mondo, ma a oggi non chiedetemi di fare l’allenatore. L’Inter sarà l’ultima squadra della mia carriera? Sarebbe bello, non so cosa succederà nei prossimi anni, ma è un sogno».

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