Yann Bisseck racconta in maniera molto positiva il suo primo anno all’Inter nella sua intervista rilasciata a Transfermarkt. “Dopo aver giocato in Danimarca mi ero convinto di ritornare a casa, se ne parlava da tempo, anche dall’inverno prima. La mia famiglia era già entrata nell’ottica che andassi all’Eintracht Francoforte, con cui mio padre aveva avuto buoni colloqui con i responsabili del club. La voce sull’Inter mi è arrivata in ritardo, ma le cose stavano procedendo meglio del previsto. Mi hanno dato belle sensazioni e, rispetto ad altri club, era disposti a pagare all’Aarhus quanto richiesto, senza cerca di negoziare. Non è stata una decisione facile ma ho semplicemente ascoltato il mio cuore“.
“A volte ho dovuto darmi un pizzicotto per capire se fosse tutto reale. Conoscevo la maggior parte dei giocatori solo per averli visti in TV o al gioco di FIFA. Improvvisamente mi sono ritrovato a condividere lo spogliatoio con loro, far parte del gruppo. Sono stati davvero gentili. Poi quando sei in un club così grande come l’Inter nessuno ti regala nulla, devi guadagnarti il tuo status. All’inizio si notava che gli altri volevano vedere di cosa fossi capace. La qualità e il ritmo, già solo durante l’allenamento… è un livello completamente diverso rispetto a quello a cui ero abituato”.
“Poco spazio? All’inizio ci ho pensato ma è stato un’idea fugace. Quando ho avuto finalmente la mia occasione, ho fatto bene e tutto è filato liscio. La mia carriera è stata sempre così: sono sempre uno a salire sul carro, ma alla fine non lo perdo. Mio padre mi ha sempre suggerito di lavorare per il fatidico giorno X. A dicembre ho giocato quasi in ogni partita e questo mese ha fatto la differenza”.
“I veterani del club mi hanno dato la sensazione che possa diventare un pilastro dell’Inter. Mi hanno parlato più di quanto mi aspettassi. Non devo nascondermi, ho qualità uniche. E l’allenatore sa quanto valgo. Inzaghi? All’inizio non riuscivo ad esprimermi in italiano, quindi non abbiamo parlato (ride). Esisteva una barriera linguistica ma non ha mai pensato che non fossi abbastanza bravo. Avevo anche sentito che fosse in difficoltà a panchinarmi perché sapeva che valevo una maglia. Ora che comprendo la lingua, mi spiega delle cose, mi dice di pazientare, che sono sulla strada giusta. È una persona davvero di cuore”.
“La cura dell’aspetto difensivo è uno dei motivi per cui ho scelto di venire qui in Serie A. Sono un difensore ma mi piace anche avanzare. Per questo a volte devo ricordarmi che il mio primo compito è difendere e questo è un aspetto sul quale posso lavorare. In Italia impari esattamente quiesto: come muovermi, quando fermarmi, come rimanere in linea. Mi avevano detto che ci vogliono nove mesi per un difensore ad abituarsi al campionato. Un’esagerazione ma tre-quattro mesi ci vogliono sicuramente”.
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