Marcus Thuram, attaccante dell’Inter e della Nazionale francese, in un’intervista all’Equipe ha parlato della sua prima stagione in Italia con la maglia nerazzurra e delle sua Francia impegnata nell’Europeo in Germania. Di seguito le dichiarazioni complete:
RITORNO A PARMA DOPO LA FIRMA CON L’INTER – “C’era Roberto che gestiva un ristorante frequentato da papà, Mirella che è un’amica di famiglia. Queste sono le persone che contavano per me, per mio padre, che mi vedeva da bambino. Credo che il minimo che potessimo fare al nostro ritorno in Italia – stavo quasi per dire al ritorno in Paese – fosse salutarli“.
FIGLI DI EX GIOCATORI – “Posso parlare solo per me stesso. Penso che sia un’arma a doppio taglio, quando hai un papà che gioca, o ti innamori del calcio oppure ti stanchi e vuoi provare qualcos’altro. Per me vedere papà in allenamento o allo stadio me lo faceva desiderare ancora di più. Quando si inizia nel settore, ci sono molte critiche e preconcetti. È davvero attraverso l’amore che hai per questo sport che puoi superare tutto questo e avere una grande carriera”.
SERIE A OBIETTIVO PER LA CARRIERA – “No, per niente. Ciò che conta è il club e l’opportunità. Non ho mai costruito la mia carriera dicendomi: “devo giocare qua o là”. Sono cresciuto tra Italia e Spagna, parlo inglese, ma il mio primo trasferimento all’estero è stato in Germania, così va. Ma ho sempre avuto dentro di me lo spirito italiano”.
TRASFERIMENTO ALL’INTER – “I primi contatti risalgono all’estate del 2021, giocavo ala sinistra nel Mönchengladbach. Quando parlo con l’Inter capisco subito che il loro progetto è farmi giocare davanti. In quel momento non capivo davvero. Papà mi aveva detto che sarei finito davanti, anche altri lo hanno fatto, ma da lì a quando l’Inter mi ha comprato per giocare davanti è stato sorprendente. Ma in effetti è stato il club che mi conosceva meglio. Mi sono infortunato contro il Leverkusen e il trasferimento è andato storto, ma loro si sono sempre tenuti informati. Quando sono tornati dopo il Mondiale del 2022, mi è sembrato ovvio, soprattutto perché giocavo in attacco a Gladbach. Non c’era motivo di vacillare. Quando abbiamo le idee chiare rimaniamo concentrati nonostante altri interessi (Milan, PSG)”.
ADATTAMENTO AL 3-5-2 – “Tanti video dopo le partite e gli allenamenti. E poi parlo la lingua. C’è la comprensione del gioco, l’intelligenza. Bisogna ascoltare lo staff, orientarsi poco a poco, parlare con i compagni, scambiare idee. È un dialogo costante che continua ancora oggi, perché non credo di essermi ancora adattato al 100% a questa Inter“.
LAVORARE CON INZAGHI – “Sapevo che sarei entrato in una squadra finalista di Champions League, non in una squadra qualsiasi, la seconda migliore squadra d’Europa. Sono arrivato con tanta ambizione ma anche tanta lucidità sul fatto che avevo molto da imparare dallo staff tecnico e che, se fossi stato attento e intelligente, avrei potuto progredire. Giocare con un nuovo sistema mi ha fatto riflettere molto su come avrei potuto migliorare come giocatore e tatticamente. Esistono diversi modi per giocare. Poi, sapendo anche che ho preso il numero 9, quando arrivo negli spogliatoi ci ricordiamo che siamo lì per fare gol“.
LAUTARO MARTINEZ – “Andiamo molto d’accordo al di fuori del calcio, il che rende più facile andare d’accordo in campo. A volte non abbiamo nemmeno bisogno di guardarci per sapere cosa farà l’altro. È un capitano esemplare, che indica la strada da seguire. Sto appena entrando in sintonia”.
DIFENSORI IN SERIE A – “L’Italia è sempre stata conosciuta come un paese che produce ottimi difensori. Ed è un campionato molto difensivo, a differenza della Germania. La filosofia generale è non subire gol. Penso che affrontare squadre di medio e basso livello che giocano in blocchi bassi con linee molto strette mi abbia aiutato a sviluppare molte cose. Sono diventato un giocatore meno superficiale”.
GRANDE FEELING CON I TIFOSI – “Ricordo la prima azione con il Monza. Quando ho fatto questo tocco ho sentito il rumore dello stadio che avvalora il tuo gesto. E’ una sensazione… Come posso dirlo? Ti libera, ti dà fiducia. Quando sono arrivato qui, la gente aveva molta speranza, da qui la loro reazione. San Siro è un posto davvero speciale, 75.000 persone al seguito della squadra, non avevo mai sperimentato una cosa del genere“.
SCUDETTO NEL DERBY – “È il calcio, siamo vicini fuori dal campo, ma in campo non ci sono amici. Sapevamo che avremmo potuto fare qualcosa di grande, in una partita molto importante, la motivazione era estrema. E sapevamo che erano preoccupati. Siamo scesi in campo per finire il lavoro ed è quello che abbiamo fatto“.
RAPPORTO CON DESCHAMPS – “Avevo 4 anni quando appese i ramponi al chiodo. Sono il figlio del suo ex compagno di squadra ma non so se si ricorda davvero di me da quel periodo. Quando ero piccolo, non ho avuto il tempo di sviluppare un vero rapporto con lui”.
THIERRY HENRY – “Era molto legato a papà e sentiva un legame speciale con me. Ho cominciato a parlargli quando ero piccolo. Ha vissuto questa traiettoria anche da esterno riposizionato al centro, in posizione 9. Ha molta esperienza e bagaglio tecnico. Questi scambi mi fanno risparmiare tempo”.
FRANCIA FAVORITA AGLI EUROPEI – “Siamo sempre stati una grande nazione calcistica. Non è un peso ma un’eredità. La vedo più come una responsabilità che i nostri anziani ci hanno lasciato. L’orgoglio prende il sopravvento sulla pressione”.