La verità è che Inzaghi ci ha abituati -e con lui il presidente Marotta- a considerare tutti i 24 giocatori titolari, senza esclusioni. Ma tra il dire e il fare c’è di mezzo… lo scetticismo. Bisseck o Pavard? De Vrij o Acerbi? Zielinski o Mkhitharyan? Dumfries o Darmian? La risposta sembra davvero lapalissiana, ma la scelta non è così scontata. Soprattutto per Inzaghi.
Lo scorso anno era chiaro che l’obiettivo scudetto fosse prioritario e la formazione che scendeva in campo prevedesse i titolarissimi. In Champions, difatti, erano le cosiddette “seconde linee” a giocarsi anche spezzoni di partita importanti. Quest’anno, invece, con un girone di ben 8 partite e una rosa più strutturata per affrontare triplici impegni (campionato, Champions, Coppa Italia), l’utilizzo dei giocatori meno impiegati come titolari è ormai un dato accertato.
Inzaghi si è affidato a loro, soprattutto perché il percorso Champions lo permette. Come per il campionato, dove vince chi ha più resistenza (paragoniamola ai 4000 m), così per questo format europeo, di più ampio respiro rispetto al girone secco a 4 squadre (pensiamo agli 800 m), si può perdere per strada qualche punticino e brillantezza nel gioco. Eppure, così non è stato. L’Inter si ritrova prima nella classifica Champions con ben 0 gol subiti in 5 partite.
E il merito è anche delle seconde linee, schierate come titolari in partite delicate come quelle di Champions. Se il loro minutaggio in campionato è stato centellinato, in Champions sono stati impiegati con decisione. Se analizzassimo le 5 partite finora giocate, potremmo vedere tra i titolari (al netto degli infortuni) una costante:
La costante, vedendo la formazione, è l’impiego di De Vrij, Bisseck, Dumfries, Zielinski e Taremi, vale a dire lo zoccolo difensivo, un’ala di spinta, un centrocampista e un attaccante. Se queste sono le seconde linee, allora Inzaghi ha proprio ragione a non chiamarle tali.