Nelle ultime settimane critiche gratuite a Fabio Ripert, fedelissimo di mister Inzaghi, quando invece le cause del calo fisico e dei tanti infortuni vanno cercate da altre parti
Nelle ultime settimane, con l’Inter in calo fisico nel momento cruciale della stagione, si sono sollevati interrogativi sul lavoro atletico svolto da Fabio Ripert, preparatore di fiducia di Simone Inzaghi. Tra social e stampa, il tema è diventato di stretta attualità. Ma semplificare la questione, addossando responsabilità a un singolo, rischia di essere fuorviante.
Le difficoltà, infatti, affondano le radici in un contesto molto più complesso. A differenza della scorsa stagione, l’Inter non ha potuto contare su una preparazione estiva omogenea. I tanti giocatori impegnati tra Europei e Coppa America sono rientrati in ritardo, costringendo lo staff a gestire carichi di lavoro su tempi diversi. L’infortunio precoce di Taremi, inoltre, ha anticipato il rientro in gruppo di Thuram e Lautaro. Il capitano specialmente ha faticato a trovare la condizione ideale nei mesi successivi.

Va considerato poi un fattore spesso sottovalutato: la profondità reale della rosa. Se sulla carta l’Inter appare completa, nella pratica alcune seconde linee non hanno garantito le prestazioni attese. Inzaghi, per forza di cose, ha dovuto affidarsi spesso agli stessi uomini, accentuando il dispendio fisico dei titolari.
Inoltre, la nuova formula della Champions League ha aumentato gli impegni invernali, e il calendario non dà tregua: a giugno, i nerazzurri voleranno negli Stati Uniti per il Mondiale per club, senza possibilità di richiami atletici.
In questo scenario, il lavoro dello staff tecnico è stato più complicato che mai. È giusto riflettere sulle difficoltà emerse, ma va fatto con equilibrio. Ripert e i suoi collaboratori restano professionisti di alto profilo, che hanno operato con serietà in un contesto tutt’altro che semplice.
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